Ogni volta che scendo dai miei a Napoli è sempre una discesa negl’inferi dei ricordi adolescenziali; il fatto che il lungo sentiero della rimembranza sia invaso di munnezza non fa che dare più colore cancerogeno ai momenti andati.
Se doveste mai andare a Napoli, dovete assolutamente notare i maschi napoletani. A parte l’evidente valenza estetica di quel mix eterogeneo (ma poco eterosessuale) di arabo, francese, spagnolo e masaniello-style, esiste un vero e proprio parteno-atteggiamento. Il maschio napoletano deve dimostrare di essere “maschio” in ogni istante della sua vita, ogni passo deve trasudare testosterone, ogni parola deve incutere timore, ogni risata deve essere contenuta da maschia dignità, ogni sputo intriso di ferormoni, ogni sorpasso in auto una prova di virilità pistonesca, persino quando ti fanno un pompino devi ripeter loro che non sono ricchioni ma solo bocche cadute per caso sul tuo pisello.
C’ho riflettuto a lungo (il tempo di una cagata) e sono arrivato a questa conclusione: il napoletano è talmente frustrato dalla donna napoletana (così forte, vigorosa, determinata) che non risparmia occasione per ricordar(si) di essere lui quello con i pantaloni. E poco importa se poi questi pantaloni c’hanno un buco dietro pret-a-inculer, l’importante è “fà verè” (far vedere agli altri).
Amo napoli, le sue contraddizioni. Però amo ancora di più essermene andato; perchè certe realtà non è bello viverle, ma solo relegarle al famoso sentiero delle rimembranze intra-munnezzam.
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