Siamo sicuri che l’uomo sia fatto per vincere? La poetica capitalistica divide il mondo divide in chi “ce l’ha fatta” e chi no. Eppure, la differenza tra i due e’ nulla: entrambi sono irremediabilmente incazzati.
Il miliardario che si suicida per noia, il vincitore della lotteria che finisce sul lastrico, chi lavora si lamenta di lavorare troppo, e chi non lavora si lamenta del contrario. I manager che lottano tutta la vita per il loro posto finiscono per odiarlo. Chi stravince le elezioni fa di tutto per tornare alle urne. Chi le ha perse non fa niente per vincerle.
Tutto nel mondo dice che non ci piace proprio vincere. O meglio, che non ci piace vincere queste cose. Il successo, i soldi, la carriera, gli applausi non sono evidentemente idonei a soddisfarci. Grande scoperta, direte – per me lo e’. Non ho mai amato i neo-pauperisti, che decantano il ritorno alla vita rurale con vitelli e pecorelle a soffiarci nella stalla i loro miasmi disgustosi.
Rendersi conto che quelle cose non fanno la felicita’ non mi spinge a consigliare al mondo di rinunciarvi. Del mondo, se non fosse chiaro, me ne fotte meno di niente. Che andassero tutti avanti come criceti, che seguissero pure i loro miti ansiogeni. Io ho deciso di farmi da parte, non voglio più partecipare a queste guerre tra poveri.
E’ ora di ritirarsi.
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