Il paradosso della mantide

La mantide maschio va verso il suo destino senza dubbi. Si fa ammazzare dalla femmina per procreare. Ad un osservatore esterno sembra ineluttabile e terribile quello che gli succede. La sua intera esistenza sarà centrata su questo singolo episodio. Come la nostra lo è da alcuni eventi, che qualcuno ha scritto al nostro posto. L’ineluttabile banalità dell’essere.

Nasciamo, cresciamo, ci innamoriamo, ci accoppiamo, figliamo, invecchiamo, moriamo. Cristosanto (oggi è Pasqua, lo posso nominare non foss’altro per assonanza), quanto siamo prevedibili. Non c’è il minimo spazio per la fantasia, per lo svago, per l’indeterminatezza. Tutto è già scritto, siamo tutti diretti tra le braccia della mantide che ci decapiterà.

Eppure, è paradossale: siamo programmati perché la specie sopravviva a noi stessi. Un macabro rituale di morte che serve a preservare la vita. Senza soluzione di continuità. Da sempre. E quando qualche povero pazzo cerca di deviare dal percorso viene additato come un reietto, un outcast, un fuorilegge. Una volta gl’intellettuali erano l’anello debole che spezzava la catena di ipocrisie e ricorsi storici. Ma sono tutti morti, e quelli rimasti si fanno i selfie su twitter. Non è un grande momento per chi canta fuori dal coro.

Eppure se c’è una cosa che insegnerei a mio figlio è proprio di non ascoltare i miei insegnamenti. Di trovarsi da solo i propri principi, i propri modi di vivere, la propria morale. Perché non apparteniamo a nessuno se non a noi stessi, nonostante quello che vogliono indurci a credere. Fai quello, non fare questo, attento che ti fai male, ti sporchi. Sono i maggiori deterrenti alla creatività, alla creazione, alla vita.

Davanti alla mantide esiste una scelta. Girare i tacchi e farle una pernacchia.

Che vada a farsi fottere.

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