Giacchio-nove

Giacchio-nove

Giacchio-nove

“Una cosa positiva c’è, non ci sono più zanzare”.

E’ questa la frase centrale del libro che ho appena terminato – “Ghiaccio-nove” di Kurt Vonnegut (1963).

TRAMA: La storia di un giornalista che – nell’intento di scrivere cosa stessero facendo diversi personaggi illustri il giorno dello sgancio della bomba atomica su Hiroshima – s’imbatte nella famiglia dell’inventore della bomba stessa. Una famiglia in possesso di un’arma ben più potente della bomba H. Un potere che ognuno di loro avrà utilizzato in maniera differente, senza alcun rimorso. Il giornalista si ritroverà nella magnifica isola della Repubblica di San Lorenzo, dove tra scene spassose, fanatici di una religione basata su un libro di un certo Bakonon (l’incipit del libro è: “Tutte le verità che sto per dirvi sono spudorate menzogne”) ed esplosioni atomiche si consuma il finale poco atteso.

MIA PERSONALISSIMA INTERPRETAZIONE: Vonnegut critica fortemente la ricerca dell’aldilà o comunque di un aldifuori noi stessi; per cui, si abbatte contro qualsiasi pratica volta alla ricerca di qualcos’altro. Religioni, guerre, armi, scienza, nazionalismo, politica…sono tutti strumenti che assolvono questo insensato scopo. L’unica soluzione che lui intravede, infatti, è il ritorno all’uomo.

L’unica certezza è che nulla abbia un vero senso. Lo dimostra il titolo del libro in inglese “The Cat’s Cradle” – la cesta del gatto. Un gioco con cui il padre della bomba atomica si trastullava davanti ai suoi bambini. Ero un semplice intreccio di fili creato con le mani, che niente aveva a che vedere con un “cesta del gatto”. Perchè non c’era nè cesto, nè gatto. Era l’uomo a vederci qualcosa, perchè è l’uomo a creare senso dove il senso non esiste.

Grande Vonnegut.

Italombia

L’Italia non sarà la Colombia, ma inzia ad assomigliargli” (da Economist, 7 ago 2008).

E’ il tanto odiato Economist a parlare in questi termini del nostro paese; e non si riferisce – come molti penseranno – all’emergenza rifiuti. Si parla del decreto sicurezza del Governo Veltrusconi, che ha portato i soldati tra le città.

Un atto puramente simbolico, perchè i soldati non possono nè arrestare nè sono addestrati per attività di polizia” – ha dichiarato il generale Mario Buscemi al giornale inglese.

Ci sono meno assassini in Italia che in Francia, Belgio o Inghilterra; è più facile essere uccisi a Brussels che a Roma. Perchè quest’aria di emergenza nazionale?”

Ed infine la stoccata finale:

Perchè il governo si mostra così duro nei confronti della criminalità e così indulgente con la corruzione? Tra le prime disposizioni di Berlusconi, c’è stata la cancellazione della commissione parlamentare sulla corruzione e una legge che lo libera da ogni tipo di processo”

Già, chissà perchè.

E non mi si venga a dire che l’Economist è sempre stato contro Berlusconi; basti guardare ques’articolo dove lo stesso giornale tesse le lodi del ministro Brunetta.

Insomma, bastone e carota. Minchia! So diventati fascisti questi dell’Economist!

Froci con le Ali

L’Arcigay grida allo scandalo per come è stato trattato il caso dello stewart italiano morto nell’incidente aereo della Spainair. Reazioni ancora più stizzite da parte dei giornali italiani. Prima di esprimere la mia, voglio premettere una cosa: è vero che, solitamente nei media italiani, il frocio o s’infanga o s’insabbia.

Premesso ciò, mi trovo d’accordo con Francesco Merlo quando parla di totale irrilevanza della sessualità rispetto ad una tragedia del genere; lo status maritale dello stewart poteva diventare casus belli solo se fosse morto solo lui (il che avrebbe giustificato un maggior dettaglio sulla sua persona).

Per calmare i gayenti spiriti, invito tutti (gay, etero, bisex, pansex, spandex…) a leggere un bellissimo libro degli anni 70, Porci con le Ali, storia sentimental-sessuale di una coppia di post-68ini in crisi. Un libro che insegna soprattutto a non prendersi troppo sul serio, anche quando si profilano nello sfondo grandi tragedie.

ps questo è trackback ai post di Uguali Amori e Resistere.

Omo-logazione

Tra gli omosessuali è crescente il lamento per l’eccessiva omologazione dei loro pari. C’è grossa crisi, e pure ai ricchioni non dice culo per niente; in qualche modo, devono pur farsi accettare ed ecco la strada più ovvia e naturale: sembrare delle persone normali.

La legge è quell’insieme di regole che una comunità si da per regolare gli aspetti di cui sente il bisogno di regolare. Un esempio per tutti: in Spagna non esistono leggi in materia di prostituzione. Lo chiamano “hueco legislativo”, ovvero vuoto legislativo, che nasce dal non percepire il bisogno di legiferare al riguardo. E perchè mai dovrebbero farlo allora?

Uguale è la questione omosessuale.
In Italia, la comunictà GLBT è una lobby ancora troppo piccola, particolaristica e di nicchia per essere “riconosciuta” dalla società. Quando dico “riconosciuta” mi riferisco a due modalità:

1. Si è riconosciuti dalla comunità, quando questa prende atto delle differenze e ne accetta i confini nei suoi ranghi;
2. Si è ri-conosciuti dalla comunità, quando la stessa vede buona parte di se stessa nel nuovo gruppo.

Non si può chiedere al corpo di non rigettare un rene di un maiale. La probabilità di espulsione del corpo estraneo è altissima. E’ una questione di antropologia. La parziale omologazione è L’UNICO vero passo per essere accettati dalla comunità ed, in seguito, compresi nella legislazione.

Cerchiamo di evitare gli errori della Spagna che – a causa di una legge imposta dall’alto – sta vedendo aumentare gli episodi di razzismo e violenze sugli omosessuali.

Un saluto,
IlSarcoTrafficante

ps questo è un trackback ad un post di Penelopebasta

Moda, Modella

Mi ha colpito molto il suicidio della modella Ruslana, 20 anni. Mi ha colpito molto, perchè una modella rappresenta l’estremizzazione dei nostri modelli di vista. Edonismo, immagine, egocentrismo, protagonismo sono il pane quotidiano per una professionista della passerella. Sin da piccolo – più o meno l’età delle seghe quando una ragazzina mi rifiutò perchè ero grasso – ho pensato che in fin dei conti siamo tutti dei modelli.

Da criticare, ammirare, ignorare, disprezzare, ma pur sempre modelli. E come potrebbe essere altrimenti? Viviamo affastellati in città megalopiche in cui a conoscersi tutti non basterebbe una vita e così l’immagine, la prima impressione è ciò che ci aiuta a discernere tra noi e loro, tra amici e nemici. L’immagine è la scelta sociale più economica rispetto all’entropia cosmopolita.

Per cui, fa impressione la morte di una modella, perchè nel suo essere c’identifichiamo un pò tutti. Se una come lei – bella, ricca, con una carriera davanti – desidera uccidersi, perchè non potrebbe capitare anche noi – versione + sudata, umidiccia e mortale di Ruslana?

Doveri

Ho vaghe reminiscenze di quando si andava in vacanza per 3 mesi. Ricordo chiaramente tutti i libri che le mie professoresse volevano che leggessi durante l’estate. Per me era un vero e proprio incubo, un’ingerenza della vita lavorativa (beh, si..per me era un lavoro!) su quella privata: una cosa che non ho mai sopportato. Esistono persone che vivono per il loro lavoro, persone che lavorano per vivere e persone che lavorano e vivono, senza alcun nesso “causale” tra le due azioni. Vivo E lavoro, non PER il lavoro. Molti miei colleghi (ed ex colleghi) potrebbero muovere diverse obiezioni al riguardo: che sono un carrierista, uno che vuole arrivare lontano, etc etc. Mi spiace dirlo, ma si lasciano ingannare dalla mia voglia di fare, di migliorare sempre i processi, di accellerare i passagi burocratici, di snellire le pachidermiche procedure che in azienda spesso si creano. E’ il perchè faccia questo ad essere la causa dell’abbaglio di chi lavora con me. Pensano che io voglia migliorare per mettermi in mostra e per far andare meglio l’azienda, ma il vero motivo è che in questa maniera, riesco a finire prima il mio lavoro per tornare a casa ed iniziare a vivere DAVVERO. Purtroppo, non mi aspetto che chi lavori con me riesca a capirmi a fondo, nè tantomeno spreco tante parole nel farlo; però a volte rode il culo in maniera atavica quando ti si dicono cose non vere. Un serafico starebbe zitto, un cazzuto risponderebbe a tono, uno come me tace (le discussioni levano energia ed io non voglio sprecarne per certe beghe squallide, considerando che ho ben altro a cui pensare ultimamente) ma non dimentica di certo. Da quì, questo post. A buon intenditor, poche parole.

Conviventi o divergenti?

Ci sono coppie fatte per amarsi e vivere insieme. Ci sono altre coppie fatte per amarsi senza MAI vivere insieme. Il fatto che non si riesca a vivere insieme dovrebbe far sorgere dei dubbi sull’amore? Sono fermamente convinto di no. E lo dico ad una coppia di amici che sta affrontando questo dilemma proprio in questo ultimo periodo. Si amano alla follia, vivono insieme da circa 1 anno ma hanno capito che non gli è possibile convivere. Che fare? Prendere due case separate sembra uno sperpero di denaro, però è obiettivamente l’unica soluzione.

Provate a mettere nella tequila brown del sale e del limone: uno schifo immenso. Provate, invece, a prenderli separatamente (prima il sale, poi il limone e poi la tequila) e la storia è tutt’altra. Se ci fossimo fermati alla prima fase, non avremmo mai più accostato questi tre sapori, dicendo che sono incompatibili; e ci saremmo persi uno dei cocktail più gustosi. La domanda che mi fa la mia amica: se non viviamo insieme, che facciamo..i fidanzatini a vita? A parte che non ci vedo nulla di male nell’essere fidanzatini a vita, parallelamente a restare bambini per sempre. Ma se proprio ci fanno schifo i fidanzatini, chiediamoci del perchè si vuole necessariamente far sboccare la storia nella convivenza.

Lo si vede come un traguardo? Come il coronamento di un sogno? Se è così, iniziamo male – vuol dire che l’amore in sè non basta, esso infatti si trasforma nel fine per raggiungere qualcosa di diverso. L’amore è la destinazione, non il mezzo con il quale ci si muove per più ameni pascoli. Se abbiamo bisogno di aggiungere sempre di più all’amore, si rischia di vivere in un patchwork di emozioni, che con l’amore ha poco a che vedere.

Concludendo,
non esiste la regola amore=convivenza; semmai esiste l’equazione amore=libertà – se quest’ultima significa vivere insieme, che ben venga; ma se significa non farlo, che ben venga lo stesso. Non lasciamoci imbrigliare in cazzatine democristiane. La vita è troppo breve per vivere secondo i breviari del sacro romano buon senso.

Corrisposta per te

Sull’amore non corrisposto ci hanno costruito carriere letterarie centinaia tra poeti e romanzieri. Hollywood deve buona parte dei suoi introiti a storie di amori unilaterali, che inevitabilmente finiscono con l’happy ending. Eppure, nessuno parla della faccenda in maniera seria. Un amore non corrisposto cosa è? Dipende dai punti di vista.

Per chi ama, è una gioia infinita, fonte di sogni e fantasie notturne e diurne, ma anche di incubi e paranoie continue. Per chi è amato, è fonte di lusinga – nel caso ne sia a conoscenza. L’amato coscienzioso abbandona l’amante per evitare di farlo soffrire, mentre l’amato vanesio si crogiola nella sofferenza altrui.

Ma esiste un ulteriore punto di vista: quello dell’osservatore esterno, forse un pò cinico, ma pur sempre in diritto di osservare. E tale osservatore cinico potrebbe pensare che l’amore non corrisposto – se spiattellato pubblicamente – è un grande atto di maleducazione, un gesto unilaterale che non tiene in considerazione degli altrui sentimenti. E’ un atto prettamente egoistico che automaticamente mette l’amante nel diritto di sentirsi “vittima” e di essere compiatito.

Non dico che chi sia in una situazione del genere debba pensarla come tale osservatore esterno – sarebbe disumano. Ma almeno esorterei il pubblico di tali manifestazioni di vittimismo a non prestare troppo ascolto alle eventuali lamentele di un amante non corrisposto. La sofferenza è privata; quando la si rende pubblica, diventa piagnistero.

Se questo è un uomo

E’ morto Enzo Biagi. Per un ragazzo come me, Biagi era un professionista testardo – tanto anziano quanto caparbio nel sostenere le sue idee. Il giornalista anti-berlusconiano, ma anche anti-prodiano. Un giornalista votato allo stuzzicare il potere, anzichè all’accarezzarlo, dedito all’inchiesta piuttosto che l’Inquisizione, alla razionalità più che al qualunquismo. Leggendo il suo cursus honorum, mi è chiara una cosa: non era uomo facile, nè di facile comprensione. Licenziato o dimessosi più volte, accusato di comunismo sovversivo, ha sempre preferito il mestiere del giornalista, piuttosto che quello del direttore. Il gusto di rimanere operaio e mai diventare realmente capo macchine.

Se n’è andato con una spilletta dei partigiani sul petto. “Così ha voluto” – ha spiegato la figlia Bice.
Enzo, ti ricorderemo così: uomo, partigiano, testardo.

Mani-festa

“Scenderanno in piazza tutti gli invisibili: precari, operai, rom, immigrati, studenti, gay”.
E’ questa la descrizione più ricorrente della manifestazione che avrà luogo oggi a Roma contro alcuni provvidementi del governo in merito al Welfare. A guidare la protesta i segretari di PRC e PDCI, con altre 120 associazioni e centri sociali.

Singolare la classificazione delle categorie menzionate: INVISIBILI.
Sarebbe opportuno porci alcune domande su questo portentoso potere.

– Una persona è invisibile, perchè non la si vuole vedere o perchè è essa stessa a non mostarsi?
– Una persona invisibile – priva di occhi da comune mortale – può vedere il resto del mondo?
– In tal caso, può passare attraverso la gente oppure deve comunque schivarla?

Sembrano domande da fumetto o da scienziati swiftiani, ma sono questioni men che meno chiuse alla discussione. Andiamo per ordine.

Nel caso delle categorie in protesta, va detto che fanno di tutto per essere viste dagli altri; ce la mettono davvero tutta, bisogna darne loro atto. Pertanto, è molto più plausibile la prima opzione, ovvero, che la gente non voglia vederli. Per quanto riguarda la seconda domanda, la questione si complica lievemente. E’ evidente che chi non è visto è dotato di un poter immenso nel caso possa vedere gli altri. Può continuare a fare la propria vita senza il disturbo degli altri, senza il costante occhio esanimatore del prossimo.

Sono scevri di condizionamenti sociali e questo li rende di fatto invincibili. Il problema nasce quando c’è bisogno del riconoscimento sociale – che altro sono i diritti se non attestati di esistenza di una categoria umana? E così, improvvisamente, queste umanità “altre” vogliono fondersi agli “altri”. Vogliono perdere la loro invisibilità, il loro potere pur di acquisirne uno ancora più portentoso: l’uguaglianza. E la società deve necessariamente accordar loro questi diritti? Se si, perchè?

Ci si lamenta tanto del pluralismo della politica italiana, dei troppi partiti; perchè ci si meraviglia allora se la Gente esprima la stessa insofferenza verso il pluralismo dei diritti? E’ un tratto comune delle società occidentali quello di semplificare, sburocratizzare, uniformare e strutturare. Attacchi laterali allo status quo non sono un’offesa semplice – sono un affronto all’ontologia del vivere comune. Ridefinire i confini del recinto sociale destabilizza e crea confusione nella maggior parte delle persone. In fondo, “si è sempre vissuto bene così – perchè cambiare?”.

Con questo non voglio giustificare l’immobilità sociale, ma protestare in piazza è come un monologo all’ennesima potenza, è facile, rumoroso, caciarone e totalmente inutile. Gl’inglesi dicono “A storm in a tea-cup” – una tempesta in una tazza di tè. Tanto casino per nulla. Forse sarebbe meglio – oltre che pretendere diritti – dare il diritto a chi già ce li ha di essere realmente ascoltato.

Ogni tanto ci si ricordi che non è il dialogo a nuocere gravemente alla salute.

ps questo non toglie che apprezzi ogni tanto gesti di sana pazzia monologica. Chi ha gettato colorante nella fontana di trevi è davvero avanti. E con un gran gusto estetico, cazzo. E’ fichissima così.

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