L’uomo che fissa le capre. E fissa anche noi.

Un George Clooney follemente simpatico, un grande Ewan McGregor in sua balia e le capre sono i protagonisti de “L’uomo che fissa le capre”. La prima psicosatira politica della storia del cinema.

Una divertente parodia della politica estera degli Stati Uniti dell’ultima decade, dove “Psico-spie” dell’esercito agiscono senza motivo e senza armi contro dei nemici e obiettivi che neanche loro conoscono. “Se sapessimo dove andare davvero, non avrebbero chiamato una psico-spia”.

Le psico-spie hanno fantomatici poteri, tra cui annullare le nuvole e uccidere le capre solo fissandole. Queste ultime sono onnipresenti vittime dei loro esperimenti, esattamente come lo era il popolo americano attraverso l’indottrinamento mediatico nell’era Bush.

A splendere nella pellicola, le interpretazioni, gli sguardi di Clooney e McGregor, i loro dialoghi pazzeschi, surreali e del tutto sconclusionati, ma soprattutto la vacuita’ delle parole della politica quando le si mettono su copione. E allora, la grandiosa macchina da guerra si rivela solo un’Armata Brancaleone contemporanea, senza arte ne’ parte.

Mentre le capre subiscono passivamente, fino alla loro liberazione – attenzione: non si liberano da sole, ma grazie ad una psicospia fatta di acidi. Ed e’ qui’ l’amara verita’: loro sono e sempre saranno solo delle capre, totalmente incapaci di affrancarsi dal potere dei politici.

Un film da vedere per ridere ma anche per riflettere e riflettersi.

Coco avant Chanel – recensione del film

Lo scorso venerdì l’ho preso di ferie. Tra le varie cose, sono andato al cinema a vedere “Coco Avant Chanel”, ero troppo curioso di vedere Audrey Tatou in versione chic.

Al cinema c’erano solo vecchie che parlavano in continuazione, e una maschera evidemente GAY che ci ha provato spudoratamente con me (Cinema vuoto, mi si mette a sedere proprio accanto). Deve aver fatto l’equazione: CHANEL + MASCHIO SOLO + OCCHIALI DORATI TRASH = GHEI. Inutile dire che non c’è stata TRIPPA PER I GATTI. Ero tutto per Coco quel pomeriggio!

Il film è stupendo, davvero magnifico. Audrey Tatou è perfetta, una Audrey Hepburn nostrana per eleganza e disinvoltura d’intepretazione. La ricostruzione storica è curata al dettaglio ed io ho pianto dal momento in cui inizia a lavorare nel suo atelier a Parigi fino alla prima sfilata ufficiale (circa 20 minuti finali).

Perchè ho pianto? Perchè non sapevo QUANTO fosse stata rivoluzionaria Coco Chanel. All’epoca vestivano superabbondanti, con merletti, pizzi, schifezze varie..e lei arriva semplificando tutto, cambiando RADICALMENTE il gusto del tempo. La scena del ballo è la chiave esemplifica tutto in maniera assolutamente poetica.

Unica pecca del film: alla fine ti domandi “Ok, lei ha cambiato il mondo..ma io che cazzo ho fatto fino ad ora?!?!”.

Ma questa è un’altra storia.

Fuori Menu – Recensione del film

Adoro andare al cinema di domenica mattina, soprattutto se sono reduce da una nottata folle in discoteca (per dettagli, vedi post precedente) e senza aver dormito neanche 10 minuti.

Al cine alle 13.30, c’eravamo solo io ed una simpatica signora, che ho scoperto essere la critica cinematografica de La Repubblica. Era la seconda volta che lo vedeva, perche’ gli ricordava tanto una storia di un suo amico. Non che me ne fottesse più di tanto, ma lei ha tenuto a precisarlo.

“Fuori Menu”, di Nacho G. Velilla,  film di matrice e trama marcatamente almodovariana (madrid, chueca, froci, donne disperate, equivoci e dialoghi surreali) è un film che consigli a tutti di vedere. Un sunto enograstrotrash del mondo della cucina spagnola e dei confusi rapporti di coppia dell’era zapateriana.

Gli attori sono davvero in gamba (LoLa Duenas è decisamente al suo top!), i dialoghi sono davvero divertenti (“Sarà un pranzo così buono, che gli dispiacerà cagarlo” – è una delle chicce della pellicola) ed il montaggio è decisamente degno delle migliori slapstick commedies degli anni ’40. 

Io ho riso a crepapelle come non mi capitava da molto tempo. L’effetto della mia risata in una sala vuota era particolarmente eccitante, tant’è che lo registrata con il cellulare e la risento ogni qualvolta….beh lasciamo stare va, questo è un altro argomento!

Un saluto a tutti voi Trafficanti!

ps siete così tanti che mi si blocca il sito .net per eccesso di traffico mensile già dai primi giorni del mese!! grazie!!

Baby Love – il cinePENEttone

Dopo diversi articoli che ne parlavano come la rivelazione cinematografica del natale francese, ho convinto l’amore mio e mia suocera a vedere “BABY LOVE”. A Roma, solo tre cinema lo proiettavano (ottimo segno!), il film ha il titolo di una delle canzoni di Diana Ross che adoro di più (ottimissimo segno!), ed in più è prodotto in Francia (sempre meglio). Insomma, aveva tutte le carte in regola per piacermi.

 

Arrivati al cinema, mi rendo subito conto della platea: COPPIE GAY ultratrentenni, con la voglia di farsi un cagnolino oppure un bimbo per abbattere la noia della quotidianità. C’era solo una coppia di eterosessuali, ma lei ogni tre secondi decantava le sue doti di tollerenza e civiltà: “cazzo vuole ‘sto rottoinculo? Un figlio?”. Tant’è che mi sono chiesto se avesse letto la trama, o se fosse entrata al cinema per caso pensando che in tutti proiettassero per default NATALE A RIO.

 

La trama è semplice (ricalca leggermente THE NEXT BEST THING con Madonna e Rupert Everett): un uomo gay, disposto a tutto pur di avere un figlio, convince un’immigrata clandestina ad affittargli l’utero. Si scoprirà che la donna era in realtà innamorata e nutriva speranze ben più concrete. Il finale è un happy ending alla europea, ovvero: hai la netta percezione che sia finita bene, ma mica ne sei tanto sicuro.

 

La recitazione è decisamente ottima (soprattutto della protagonista femminile), la sceneggiatura è tintenggiata da tratti tragicomici, anche se il montaggio non è esattamente incalzante (ad un certo punto, volevo dormire, ma non l’ho fatto solo per orgoglio gay).

 

Un bel film, non foss’altro perchè fa discutere sulla tematica senza barricarsi in ideologismi e guardando in faccia alla realtà delle questione. Consiglio di vederlo al caro Ratzinger, che oggi è stato categorico: “E’ Dio che decide chi è uomo, o chi è donna”. Magari gli viene un colpo e ce ne liberiamo.

Giù al nord – una recensione

E’ un film davvero particolare. Come al solito, avevo le mie titubanze per via della locandina, dove appare una citazione da Le Monde: “Vi farà morire dalle risate”. Le Monde è un giornale paragonabile al nostro Libero, ma con pretese da vero giornale. Almeno Feltri lo sa bene che il suo è solo una protesi del suo ipotalamo.

Ebbene, il giornale francese aveva proprio ragione: un film che sa accostare momenti di surrealismo molto ben incastonato in clichè nord-sud che andrebbero bene anche in italia.  La trama è molto semplice: un dirigente postale del sud viene trasferito al nord per punizione anzichè in costa azzurra; come se un nostro dirigente di Crotone fosse spostato a Bergamo anzichè a Taormina. Gli attori – tutti – sono la chiave del successo, perchè rendono credibile un gioco iperreale delle parti.

Certo, è facile giocare sugli stereotipi e delle diversità per far ridere, ma lo è di meno se fatto in maniera esagerata non facendolo apparire come tale. Un film da vedere, con delle scene che davvero “fanno morire dalle risate”.

Wall-eh?!

No, non mi convincerete MAI a vedere WALL-E!

Odio Walt Disney – perchè un fattone che parlava ad una zoccola (= un PAPPONE) è stato eretto a monumento globale della pedagogia? A questo punto, i bambini mandiamoli direttamente a fare gli stagisti dai magnaccia rumeni.

I cartoni disney sono la quintessenza del buonismo veltroniano, del paternalismo democristiano – un mix strano di radical-chic e radical-kitsch insopportabile se non sotto INGENTE DOSE di buscopan 1000.

No, non ci andrò: e per protesta mi rivedo GOLA PROFONDA – unica grande enciclopedia morale di ogni tempo.

ps è un trackback ad un post di Penelopebasta.

 

Mamma mia!

Sono amante di musical (ebreo che ama i musical, originalissimo!), adoro gli ABBA e Meryl Streep – per cui, vi avverto: questa recensione è totalmente parziale.

Mamma Mia! l’avevo visto al teatro in due lingue diverse (spagnolo e inglese), mi era piaciuto tantissimo – sono arrivato al cinema un pò scettico, perchè avevo delle aspettative altissime. E di solito, quando parto così, le deludo sempre. Ovviamente mi sbagliavo alla grande. L’adattamento cinematografico riprende e rende più vivide le immagini, le coreografiche, l’universo immaginifico di una mamma e di una figlia inguaribili sognatrici e pasticcione.

Vi dico solo che in sala la gente ballava e cantava ad ogni singola canzone (sembrava una discoteca gay degli anni ’70 in piena regola). Eppure la maggior parte erano coppiette, o meglio, femmine che avevano trascinato i loro maschi al cinema. Ed i maschi- sottomessi come sono alla figa – hanno accettato di buon grado.

La scena più brutta è quella in cui Pierce Brosnam canta. Sembra che sta per cagarsi sotto tanto lo sforzo, ed inoltre, fa delle facce simili a Prodi quando ha l’orgasmo (immagino abbia quella faccia quando succede).

Mentre la scena più bella in assoluto è quella in cui Meryl Streep danza al ritmo di “Dancing Queen”. Lì non solo ho cantato, ma ho pure calpestato qualche vecchia per ballargli addosso. Sono volati sputi e dentiere – per fortuna ero munito di fiamma ossidrica per carbonizzarle tutte quelle vecchie di merda.

Bello, bello, bello. Una, cento, mille stelle a questo musical!

Cine(p)asta

Festival del Cinema, Alemanno: “Non sfilerò sul tappeto rosso, quello è per gli attori”.

Dopo anni passati da zerbino di Berlusconi, lui farà direttamente da tappeto.

Burn After Reading

Film spettacolare. I fratelli Coen non si smentiscono (quasi) mai. Grande rivelazione dell’accoppiata Clooney-Pitt. Li avevo lasciati (ed ampiamente abbandonati) ad Ocean’s Eleven, disprezzati via via più con tutti i successivi Ocean’s multiplo di 3, 4, 5, per poi ritrovarli in questo intelligente spy-movie alla Waiting for Godot. Teatro dell’assurdo, critica alla società dell’informazioni, trash tv e grottesque mescolati in un liquore di musiche suggestive ed allusive.

La frase centrale del film è quella pronunciata nel finale da un pezzo grosso della C.I.A.: “Cos’abbiamo imparato da tutto questo? A non ripeterlo più. Anche se non ho ancora capito cos’abbiamo fatto”. Sicuramente una denuncia dell’inutilità della CIA dopo la guerra fredda e alla società dell’estetica a tutti i costi (la miccia che accende la trama è una donna che vuole a tutti i costi sottoporsi a 4 chirugie estetiche). La vacuità della stessa trama denuncia la vacuità di valori, anche negli stessi stilemi di hollywood.

Ben fatto, 90 minuti ben spesi.

Il pranzo di Ferragosto

Il pranzo di Ferragosto: una rivelazione. Sono entrato titubante, perchè avevo letto che le protagoniste erano delle signore anziane. A me fanno senso le persone vecchie, sarà per la loro pelle pendula, non lo so. Ebbene, dopo esattamente 30 secondi dall’inizio, avevo capito che ci sarebbe stato da ridere.

Le attrici (ma sospetto sia la loro opera prima) sono molto spontanee, troppo. Sembra quasi tutto improvvisato. La trama è sostanzialmente nulla, ma le gag di queste indemoniate-con-la-pensione non ti fanno annoiare neanche un secondo.

Oltre all’aspetto comico, c’è ovviamente uno sguardo agrodolce alla tematica dell’abbandono degli anziani durante le ferie estive. Ma tutto con molto garbo, e senza alcuna voglia di commuovere gli spettatori. Per fortuna, perchè a me i vecchi non fanno commuovere, ma solo senso (ribadisco).

Ve lo consiglio per passare 90 minuti in allegria. Era da tanto che non mi facevo tante risate al cinema.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: