Giro giro tondo

…E tutti giù per terra!

Il girotondo e’ forse il primo strumento di distruzione di massa. Il bambino viene intenzionalmente rincoglionito dal moto circolatorio perpetuo, e gia’ abituato alla quotidianita della politica del terrore (“casca il mondo, casca la terra”).

E’ agghiacciante quanto questo somigli alla visione della politica attuale. Ci trattano da bambini, ci voglio rincoglioniti e terrorizzati. Ci vogliono in loro potere. E per spezzare il cerchio un solo antidoto: la cultura. Non a caso, li si taglia che e’ una bellezza dalla notte dei tempi.

Si taglia cosi tanto, e da cosi tanto tempo, che ci si domanda a quanto ammontasse la cifra iniziale. Doveva essere pari al Pil nazionale. Eppure c’e’ ancora spazio per ridurre ulteriormente le risorse. Alla fine sara’ la cultura a dover pagare lo Stato per il diritto di esistere, la cosa non ci stupirebbe.

Possiamo ribellarci, finire la ricreazione ed iniziare a crescere. O possiamo continuare a girare in tondo. La sfida non e’ ancora chiusa. Si spera.

Un matrimonio all’inglese – la recensione

Ammetto una mia debolezza: quando in un film si combinano una serie di elementi (protagonista femminile esaltante, una protagonista sola contro tutti, ed un tono ironico della narrazione) io sono già in fibrillazione per andarlo a vedere. Non ne vado fiero, però ci sono cose peggiori – per esempio, votare PD.

Detto ciò, ieri ho visto il film “Matrimonio all’inglese“, tratto dal romanzo EASY VIRTUE*** di Janice Kaiser, con protagonista la stupenda, meravigliosa, bravissima, eccelsa, divina Jessica Biel. Una storia apparentemente classica (una bella americana avventuriera sposa un ricco giovanotto inglese, la cui famiglia farà di tutto per liberarlo da una donna così poco ortodossa) nasconde un intreccio di gag ed equivoci esilaranti e spassosi.

La pecca ed il pregio della pellicola è proprio Jessica Biel, il cui personaggio è l’unico ad essere tratteggiato con cura e dovizia – gli altri sono caricaturali, macchiette messe lì a farle da scenografia. Sicuramente i dialoghi sono serrati, ironici, taglienti come una slapstick commedy, però non abbastanza da spaesare lo spettatore che ha molto tempo per pensare ad altro in lunghi momenti di pausa narrativa. Altra pecca è la colonna sonora: onnipresente. In sottofondo, un fastidioso ronzio di trombe jazz che cercano di impartire un ritmo frenetico ad una trama che di frenetico ha ben poco.

In conclusione, da vedere se amate Jessica o se amate gli scontri di civiltà (USA vs UK) o se adorate il sarcasmo o se siete gay. Altri si astengano dalla visione senza rimorsi.

***questo libro è fottutamente introvabile in italia!!!

L’eleganza del riccio (o la tracotanza del ricco)

Una persona molto cara mi ha regalato il best seller di Muriel Barbery, L’eleganza del riccio. E non sapete quanto mi dispiace doverlo stroncare, però quando ci vuole, ci vuole.

Ufficialmente, è la storia di una portinaia che fa finta di essere scema quando invece è una coltissima apprezzatrice dell’arte e di una bambina suicida, troppo intelligente per la sua età – anche lei finge di essere totalmente scema. Entrambe decidono l’anonimato, per non essere disturbate, per rimanere invisibili. Sempre ufficialmente, dovrei dirvi che la portinaia rappresenta EROS, mentre la ragazzina THANATOS. Questo gioco dei ruoli si ribalta drammaticamente solo nel finale (che è l’unica cosa che si salva dell’intero romanzo).

Finita la parte ufficiale, posso darvi la mia analisi reale: il libro è un trastullo pseudointellettuale di una ricca professoressa di filosofia in un’università di provincia francese. L’impianto della trama potrebbe essere credibile, ma è la rappresentazione dei personaggi ad irritare non poco. Digressioni filosofiche, artistiche, morali, e concettuale a iosa; una scrittura pesante quanto un Big Mac con doppia dose di cipolle; un’ironia presente come la scarlattina: a macchie; e soprattutto l’assenza totale di una REALE definizione della psicologia dei personaggi. E’ come se l’autrice parlasse in prima persona, volendoci far credere che sia una portinaia a scrivere solo perchè scrive “Sono una portinaia” – però poi parla come Seneca.

Il voto è pessimo, e si può tranquillamente saltare dalle prime 20 pagine alle ultime 20 senza perdere neanche una virgola di senso. Save your time, guys. Leggete altro.

Burn After Reading

Film spettacolare. I fratelli Coen non si smentiscono (quasi) mai. Grande rivelazione dell’accoppiata Clooney-Pitt. Li avevo lasciati (ed ampiamente abbandonati) ad Ocean’s Eleven, disprezzati via via più con tutti i successivi Ocean’s multiplo di 3, 4, 5, per poi ritrovarli in questo intelligente spy-movie alla Waiting for Godot. Teatro dell’assurdo, critica alla società dell’informazioni, trash tv e grottesque mescolati in un liquore di musiche suggestive ed allusive.

La frase centrale del film è quella pronunciata nel finale da un pezzo grosso della C.I.A.: “Cos’abbiamo imparato da tutto questo? A non ripeterlo più. Anche se non ho ancora capito cos’abbiamo fatto”. Sicuramente una denuncia dell’inutilità della CIA dopo la guerra fredda e alla società dell’estetica a tutti i costi (la miccia che accende la trama è una donna che vuole a tutti i costi sottoporsi a 4 chirugie estetiche). La vacuità della stessa trama denuncia la vacuità di valori, anche negli stessi stilemi di hollywood.

Ben fatto, 90 minuti ben spesi.

America, (d)istruzioni per l’uso

Paul Watzalawick è stato un mentore per me, ne ho letto quasi tutti i libri di linguistica. E come saggista è ancora più piacevole. Dopo il successo che ottenne nel 1984 con “Istruzioni per rendersi infelici”, ha continuato con i suoi pensieri irriverenti sulla società moderna.

Il libro che vi propongo è “America, istruzioni per l’uso” (ed.Feltrinelli, pag. 119, € 6,50 ISBN 978-88-07-81536-2); guida pratica per chi stesse per intrapendere un viaggio negli States o semplicemente per chi abbia curiosità di sapere cosa accade dall’altre parte dell’Oceano. Per chi ci avesse già vissuto (come il sottoscritto), è piacevole vagare negli episodi grotteschi in cui si è incappati sicuramente durante la permanenza nel Nuovo Mondo.

Il libro si divide in 12 capitoli, uno per ogni aspetto della vita americana (aeroporto, la guida, la città, gli alberghi, denaro, la lingua, i media, poste e telefono, ristoranti e ospedali). Spassoso il capitolo sulla lingua americana – Watzlawick, da buon linguista, stocca affondi quasi acidi nei confronti degli americani: “Nessuno gli (all’americano, ndt) ha spiegato che la lingua è un’entità venerabile, un essere vivente naturale che può rapidamente degenerare e deperire se non viene curato […] la lingua per l’americano è un articolo di consumo, proprio come i fazzoletti di carta: può farci quello che vuole“.

Un piccolo saggio acuto e con tanti consigli (e battute!).

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