Il dito senza la luna

“Quando il saggio indica la luna, lo stolto vede solo un dito”. Se posso riassumere questo periodo della mia vita professionale, lo faccio attraverso questo proverbio. Nel caso specifico, io – così come altre persone che mi circondano – sono lo stolto. Vi dirò di più: sono PAGATO per essere stolto, e non diventare saggio. E’ la solita politica di chi comanda: stai tranquillo lì nel tuo angolino, non devi sapere tutto quello che sta succedendo, e soprattutto, non rompere i coglioni.

E cosa succede se un povero stolto, nonostante il comando a sottomettersi, inizia a farsi domande ed inizia ad intravedere la luna? Viene messo al suo posto. Ma vi dirò: è anche colpa dello stolto se non caccia le palle e combatte per il suo ruolo nella società. In un mondo ideale, nessuno prevarica nessuno, sono tutti corretti e buoni. Manco a dirlo: non esiste il mondo ideale. Già dalla scuola, ci sono coglioncelli che ti bulleggiano, imitando probabilmente genitori a loro volta scroti deambulanti pachidermici.

E di fronte a questi bulli esiste un solo modo per sopravvivere: contrattaccare. Armarsi, e partire alla guerra contro chi vuole importi valori o azioni che non aderiscono a quello in cui credi. Ammetto di aver subito passivamente alcune cose ultimamente (anche per stanchezza), ma lo spirito di Xena la Principessa Guerriera è tornata finalmente.

E mo mi diverto io. Auguri a chi mi rompe il cazzo.

La vita a 33 anni o di come sopravviverli

L’altro giorno mi trovavo davanti ad un caffè, parlando del più e del meno con un amico. “Ci pensi? Fra 7 anni avremo 40 anni!”. Ora, posto che io non mi metterei mai ad urlare una cosa del genere in pubblico e che occupo la mia vita con interrogativi ben più entusiasmanti (es. “perché il cuore batte così forte dopo un orgasmo?”), mi ha fatto riflettere quel bastardo. Nota mentale: cancellarlo dalla rubrica.

La verità è che non posso prendermela con lui. Ha ragione: la matematica non è un opinione, e la carta d’identità manco! Certo, se date un’occhiata alla mia, penserete che sono un siriano appena sbarcato a Lampedusa, e non uno splendido esemplare di 33enne-fra-7-anni-40enne italiano puro sangue. Ma nonostante il mio charme ed incredibile fascino, è vero.

Ricordo che da adolescente pensavo ai trentenni come i “signori”, quelli grandi. E se devo dirvela tutta: immaginavo la mia vita esattamente come è ora. Carriera, allenamento ed un abbondante disturbo antisociale di personalità. Si, volevo anche una famiglia, ma su quello ci sto lavorando con il mio psicoterapeuta. Perché avere delle persone amate se puoi avere dello Xanax?

Eppure, il tempo delle mele è finito, sono ormai alla cheesecake. E volente o nolente, devo vivere i miei anni così come vengono, senza alcuna aspettativa. Il segreto è quello. Se ordini una pizza alta pachino e bufala, con doppia bufala, e con il cornicione bruciato, e ti arriva una marinara striminzita alla romana ci rimani malissimo, no? Se invece chiami Pizza Mary e gli dici “mi faccia una sorpresa”, a parte beccarti una denuncia per stalking, qualsiasi cosa porteranno ti piacerà!

Un altro trucchetto che ho imparato alleviarmi il peso del mondo è dirmi bugie. Tutto andrà bene, tutto si sistemerà, insomma non buttarti giù, c’è chi sta peggio di te. E non importa se non ti viene in mente nessuno che non viva in una favela a Rio, l’importante è crederci. Perché prendersi per il culo è il segreto di una lunga vita. Quello, e lo Xanax di cui sopra.

Se dovessi consigliare un’età ai miei nipoti, gli consiglierei proprio questa che sto vivendo ora. Sei libero di fare rutti e peti nella tua casa da single incallito. Puoi spararti mille episodi di un telefilm e morire di torcicollo perché non sai dove diamine poggiare il mac per vederli. Puoi comprare qualsiasi cosa su Amazon, e dirti che te lo meritavi. Manco avessi vinto un Nobel per la pace per aver buttato la spazzatura prima che venisse la nettezza urbana.

E non dimentichiamoci la cosa più bella di tutte. Non devi dar conto a nessuno di quello che fai. Sei L I B E R O. A volte ti puoi sentire un pò solo, senza speranze, ma poi finisce la pubblicità e dimentichi tutto.

Good luck 33enni!

Feedback..o me facc e cazz tuoje

Chi lavora in azienda conosce bene questo male. E’ una necessità quasi irrefrenabile. La gente sente il dovere morale di darti un feedback (un riscontro) su qualsiasi cosa, pure su come vai al cesso. Perché in inglese tutto sembra figo, cool, ma a Napoli non lo chiameremmo semplicemente “me facc e cazz tuoje”.

Noi non siamo americani, siamo latini. Se io faccio una cosa, a meno che non te lo chiedo io, ma perché minchia mi devi dire cosa ne pensi? Perché? Devi per forza parlare? Hai qualche herpes che ti impedisce di tenere le fauci chiuse? Ma riempiti la bocca con altre occupazioni, che forse ti riescono meglio, no?

Io accetto consigli solo da chi stimo, e da chi voglio bene. Gli altri che parlano, mi fanno pure un po’ pena. Perché si pensano che possano minimamente influire sul mio modo di essere e di agire. E io gli faccio pure credere che è vero, che sono indispensabili i loro preziosissimi punti di vista sul mondo. Non voglio dirgli che Babbo Natale non esiste, e che loro non valgono un cazzo.

Parliamoci chiaro. Io da sempre incasso colpi per crescere, e ascolto tutti per migliorare. Mi piace non restare fermo, ed evolvere. Per cui, anche da persone assolutamente inutili accetto consigli, che magari un piccolo fondo di verità ci sta. Detto ciò, sarebbe carino se queste persone le cose me le dicessero in faccia, invece di farlo come le pettegole di paese. Alle spalle, come i peggiori vigliacchi.

Ho imparato una cosa. Se diventi un pericolo, iniziano a trovare difetti dove ci sono solo qualità. Tocca avere grandi solidità e autostima per sapere quanto vali davvero. Quello che quegli esseri piccoli piccoli non comprendono è che non ti danneggiano buttandoti giù. Ti fanno volare ancora più in alto. Non esiste motore più potente dell’orgoglio.

Poveri illusi…e pure a voi, auguro bellissime feste. Spero che abbiate famiglie molto molto pazienti…sempre se avete qualcuno con voi.

Favelas disney

Quando perdi per la testa per un uomo, ogni cosa che fa assume un significato estatico ai tuoi occhi. Poi finisce tutto e scopri:

che i suoi tenebrosi silenzi non nascondono speculazioni metafisiche sul senso della vita, ma una peperonata mal digerita; che il suo abbracciare festosamente i bimbi non nasce dal suo innato senso paterno ma dall’essere felice di non averne tra le palle a casa; che il suo ex ragazzo, dipinto come un orrendo mostro a tre teste, è un invece un missionario comboniano in Lesotho;

che i suoi amici, che al vederlo esultano, sono solo felici di vedere te, che lo tieni lontano da loro; che le mutande lasciate in giro per casa non sono sintomo di uno spirito ribelle, ma solo di un demente mammone; che le sue battute non sono mai state divertenti, ma solo rutti random di pensiero libero e sgrammatico;

che quella magnifica fossetta sul mento non è sexy, ma solo un ricettacolo di briciole; che quello sguardo così profondo nasconde un vuoto che ci senti il mare se appoggi l’orecchio sui suoi occhi.

Ma la cosa che più ti fa incazzare sei tu. Che non sei quell’essere tutto amore e dedizione, ma solo l’ennesimo coglione che ha creduto nella favola Disney, quando esistono solo favelas Disney.

Be kind..le

Dopo almeno due decadi da lettore accanito, da sniffatore di libri nuovi, da feticista dell’ordine alfabetico degli scaffali de La Feltrinelli….HO APPENA ACQUISTATO UN KINDLE. La scelta è dettata da diverse ragioni, che proverò qui ad elencare. Intanto il post è lungo, accomodatevi.

1. Salute. Ormai avevo il gomito del tennista. Ogni posizione era diventata usurante per il mio corpo. Mi vedevo già in un episodio di Grey’s anatomy. E mi sarebbe capitata una donna, non un dottore bono.

2. Spazio. L’ultimo trasloco è stato un trauma. Ho dovuto vendere una caterva di libri (di base solo il 30% di quelli letti si salvano), e quelli che mi rimangono saranno ragione di bestemmia per il prossimo trasloco.

3. Portabilità. I libri non riesco a portarmeli dietro, e durante i viaggi occupano troppo spazio. Il litigio con la stronza della WizzAir che mi ha detto di leggere meno così la valigia entrava nel misuratore mi hanno lasciato un segno indelebile.

4. Costi. La ricerca costante di lampade da notte con la luce perfetta mi è costata capitali negli anni. Credo che dopo l’accordo di Parigi, metteranno al bando il mio comodino per eccesso di emissioni di diossido di carbonio

5. Vista. Alcuni editori fanno scelte di font davvero al limite del masochismo. Cinquanta sfumature di Times New Roman

6. Continuità. Mi addormento sempre mentre leggo. Il segnalibro ha vita propria, e al risveglio lo trovo sempre in pertugi non opportuni. Così rileggo sempre almeno due volte delle pagine per ritrovare il filo. Un pò come Beautiful che dopo la pubblicità ripete gli ultimi due minuti precedenti.

7. Ecologia. Fingendo di interessarmi dello spreco di carta, avrò buon motivo per offendere chiunque legga ancora i libri unopuntozero.

E ALLORA..che ASPETTATE? Comprate anche voi un KINDLE, cazzo

Un pò di darwinismo fa bene

La ragazzina, che si è vista nella classifica delle ragazze più brutte della scuola, ha dato una risposta magistrale ai cyber bulli della sua classe. Bravissima lei, ma bravissimi anche i compagni di classe. La loro cattiveria, totalmente naturale e non studiata a quell’età, l’aiuterà a crescere, a diventare un essere umano con le palle.

Non li sto giustificando. Se fossi stato loro genitore, li avrei cazziati che manco Tina Cipollari all’ennesimo tronista analfabeta di Maria. Ma dentro di me, avrei pensato anche che non c’era nulla di male in quello che avevano fatto. E’ nell’ordine delle cose: i ragazzini sono degli animaletti a masturbazione compulsiva. E’ dovere dei genitori indirizzarli verso la strada della maturità, ma non lo è forzarli con una ruspa.

Se ripenso ai bulli della mia età scolare, li devo ringraziare tutti. A quelli che mi prendevano in giro perché odiavo il calcio, dico grazie, perché mi hanno insegnato che essere una voce fuori dal coro è faticoso, ma estremamente piacevole quando si è adulti. A quelli che mi facevano sentire inadeguato perché non mi piacevano le ragazze, dico grazie, perché mi hanno fatto comprendere la bellezza della diversità e della complessità del mondo.

Insomma, quando si diventa grandi, tutto migliora. E la più grande soddisfazione è vedere quegli stessi bulli rimanere gli stessi della scuola, mentre tu sei diventato un essere umano completo, consapevole, e così figo da farli schiattare tutti d’invidia.

What doesn’t kill, makes you stronger. Ci credo da sempre. Fa eccezione solo l’influenza intestinale, forse.

Single a vita

Niente, io rimarrò single a vita. Appena nasce qualcosa, io mi sento soffocare e scappo manco bussasse Equitalia al citofono. Vorrei tanto essere una persona romantica, che si da all’altro senza condizioni, che vive le proprie emozioni almeno tanto intensamente quanto il primo a spingere la porta di Euronics quando inizia il FuoriTutto, ma proprio non ci siamo. Ogni tanto, quando fa freddo e si bloccano i termosifoni, mi assalgono degli spiriti da principessa della Disney, e cerco un compagno. Ma quando il termostato supera i 27 gradi, chiamerei amorevolmente i NAS a disinfestare casa dalla creatura che fino a pochi istanti prima sbacciucchiavo con tenerezza. Nella mia testa continua la vocina “non hai ancora trovato quello giusto”. Potrebbe essere vero, ma parliamoci chiaro. A trentatre anni, non hai più il desiderio di litigarti su quale serie TV da vedere su Netflix, e non accetti compromessi sull’annosa questione “tavoletta del cesso abbassata si tavoletta del cesso abbassata no”. Non vuoi trascorrere neanche un secondo a dibattere su dentifrici strizzati al centro e non alla fine o su calzini sporchi che volano per caso manco Pomi d’ottone e Manici di Scopa. E no, non voglio prenotare le vacanze assieme in un villaggio della Valtur dove finiremo per litigarci perché ho guardato troppo il culo dell’animatore che insegna origami ai non vedenti, non voglio diventare un “noi”, che somiglia tanto a “non io”. Dice che Gesù si è fermato a Eboli, ma l’amore si è fermato sul Raccordo. E mica sono il carrattrezzi.

Non è facile essere gay

Non è facile la vita. Non lo è per nessuno. Lungi da me dipingere un ritratto dell’omosessualità da martirio della società moderna. Ognuno porta e sopporta la propria croce. E lo si fa con dignità e rispetto della croce altrui. Eppure, oggi più che mai, sento l’esigenza di parlarvi seriamente di cosa significhi la mia di croce (e delizia). Lo farò per decadi, perché è come ho notato che cambiano le fasi della mia vita.

0-10 anni: sei diverso, non lo sai, ma gli altri sì.

Da piccolo mi piacevano le bambine. E piacevano pure i gatti, i cagnolini e i ragazzini. Mi piaceva tutto. Non c’era sessualità in quello che facevo. Io salutavo tutti. Baciavo tutti. Sorridevo a tutti. Non amavo giocare a calcio, lo odiavo. Mi annoiava a morte. Non fu mai un problema, finché una suora mi disse: “perché non giochi a calcio con gli altri bambini? Che vuoi diventare gay?”. Fino a quel momento non sapevo manco cosa fosse un gay. E scoprire una parola quando la usano come offesa non è il massimo della vita. Mia madre già lo sapeva, perché quando le chiedevo perché fossi diverso dagli altri – ormai ne ero consapevole – mi rispondeva sempre: “tu non sei né carne né pesce”. Mia madre parlava sempre per metafore culinarie, e questa spiegazione a me bastava. Iniziavo a sentirmi a disagio con gli amichetti, ma non gli davo peso. Io volevo salutare tutti, baciare tutti, sorridere a tutti.

11-20 anni: la consapevolezza. La solitudine.

La masturbazione ha cambiato la mia vita. Fintanto non sei davanti alla tua erezione, non capisci veramente che orientamento sessuale hai. Ma – fortuna per i maschietti – il pisello non mente. Ed io mi eccitavo solo guardando la sezione “intimo maschile” dei cataloghi Postalmarket. Non erano sogni sessuali, ma erano molto sensuali. Non c’erano scene di sesso, ma c’erano uomini bellissimi che si spogliavano per me. Non volevo più baciare tutti, volevo baciare solo loro. A quel punto, all’età di 12 anni presi consapevolezza di quello che mi piaceva davvero. Le donne continuavano a piacermi, ma sapevo quale fosse la mia strada. Iniziai a chiudermi a riccio. A scuola cercavo di allontanarmi da tutti. Ero silenzioso. Non salutavo più nessuno. Volevo solo sparire, perché mi sentivo solo come un cane. E la corazza si iniziò ad ispessire.

21-30 anni: la gioia. l’amore. ed il dolore.

All’università ancora ero schivo. Nascondevo tutto con una falsa allegria e socievolezza. Volevo tornare alla mia infanzia, quando ero una persona così aperta al mondo, così curiosa. Arrivò il primo ragazzo. Il primo amore. Fu un’esplosione di gioia. Non avevo mai provato certe sensazioni. E pensai per la prima volta di essere una persona fortunata. Di essere speciale. E soprattutto, di non essere solo. Dissi tutto alla mia famiglia. Non m’interessava più l’opinione di nessuno. Ero io solo contro un mondo che non capiva l’amore. Poi vennero altri fidanzati, altre gioie ed altri dolori. Mi sono aggrappato ad ogni singola briciola di amore, ma quello più importante era quello verso me stesso. Mi sono aiutato da solo a venire fuori da un doppio lutto, al quale pochi sopravvivono. Mio fratello aveva una famiglia a cui appoggiarsi, io ero solo. Per l’ennesima volta.

Ed eccomi qui, a quasi 33 anni, a fare un piccolo bilancio della mia esistenza. Ho tanta strada da fare ancora, e sono curioso di cosa mi riservi il futuro. Sento di star entrando in una fase di cambiamenti radicali. Per la prima volta nella vita sento DAVVERO l’esigenza di metter su famiglia. Di avere un marito, ed almeno un figlio (due sarebbe perfetto). E sono certo che succederà.

Non è facile essere gay, non lo sarà mai. Sarete sempre soli con voi stessi, sarete sempre lì a sfidare i vostri limiti. Sarete sempre giudicati. A volte disprezzati, insultati, aggrediti. Ma le cose cambiano. Gli anni passano. Le ferite si curano. E se avrete affrontato tutto con dignità, sarete delle bellissime creature. Vissute, vive e piene di esperienza. Una vita intensa ha un vantaggio grande: in qualsiasi momento finisce, è valsa la pena di esser vissuta.

Per cui, coraggio. E siate orgogliosi di quello che siete. Anche perché – metteteci una pietra sopra – non avete scelta.

Sono un pizza boy

Sono un ragazzo che consegna le pizze. Lo sono sempre stato, e lo sarò per sempre. Dammi un obiettivo, dammi una scadenza, e io la porto a termine. Punto. Tutto quello che porta dal forno alla casa del cliente, il viaggio, la scoperta, per me hanno sempre avuto un’importanza marginale. Esiste l’obiettivo, e solo l’obiettivo. E finché non lo raggiungo, io non sto tranquillo. Sono fatto così, sono un ragazzo della pizza.

Sono ben consapevole che non esistono solo to-do list, target e achievements. L’esistenza non è tutto un percorso lineare, e a dire il vero, è il percorso stesso la vita. Ma io non riesco proprio a godermela se non c’è una destinazione, un fine ultimo, una sfida da affrontare. Me lo porto da quando sono piccolo, ho sempre avuto mille difficoltà per ogni cosa. E così il mio animo nato mite e meditativo è cresciuto in guerriero e determinato. Mi sono snaturato, e questa forzatura col tempo è divenuta la mia nuova natura.

E mi è andata sempre bene così. Ha funzionato la strategia. Fino ad oggi.

Quando ti rendi conto che la vita è relazione, ti cade tutto il castello di sabbia, lo scooter per consegnare le pizze si rompe, e capisci che da solo non riesci ad arrivare alla meta. Devi chiedere un passaggio, devi chiedere aiuto. Credetemi: io sudo freddo solo a pensarci. Io non do aiuto, né chiedo aiuto. Mi vedo come un automa autosufficiente da sempre. Malgrado abbia sempre saputo di non esserlo, mi sono crogiolato in questo desiderio di onnipotenza.

Ci metterò tempo ad abituarmi a questa nuova vita, serve lottare contro l’Immagine che ti eri creato. E’ difficile, ma in fondo è molto semplice. Tutto sta nello spegnere lo scooter, attaccare le cuffiette e godersi lo spettacolo che ti si propone. Senza giudizi, senza aspettative. Così, come deve essere.

Il paradosso della mantide

La mantide maschio va verso il suo destino senza dubbi. Si fa ammazzare dalla femmina per procreare. Ad un osservatore esterno sembra ineluttabile e terribile quello che gli succede. La sua intera esistenza sarà centrata su questo singolo episodio. Come la nostra lo è da alcuni eventi, che qualcuno ha scritto al nostro posto. L’ineluttabile banalità dell’essere.

Nasciamo, cresciamo, ci innamoriamo, ci accoppiamo, figliamo, invecchiamo, moriamo. Cristosanto (oggi è Pasqua, lo posso nominare non foss’altro per assonanza), quanto siamo prevedibili. Non c’è il minimo spazio per la fantasia, per lo svago, per l’indeterminatezza. Tutto è già scritto, siamo tutti diretti tra le braccia della mantide che ci decapiterà.

Eppure, è paradossale: siamo programmati perché la specie sopravviva a noi stessi. Un macabro rituale di morte che serve a preservare la vita. Senza soluzione di continuità. Da sempre. E quando qualche povero pazzo cerca di deviare dal percorso viene additato come un reietto, un outcast, un fuorilegge. Una volta gl’intellettuali erano l’anello debole che spezzava la catena di ipocrisie e ricorsi storici. Ma sono tutti morti, e quelli rimasti si fanno i selfie su twitter. Non è un grande momento per chi canta fuori dal coro.

Eppure se c’è una cosa che insegnerei a mio figlio è proprio di non ascoltare i miei insegnamenti. Di trovarsi da solo i propri principi, i propri modi di vivere, la propria morale. Perché non apparteniamo a nessuno se non a noi stessi, nonostante quello che vogliono indurci a credere. Fai quello, non fare questo, attento che ti fai male, ti sporchi. Sono i maggiori deterrenti alla creatività, alla creazione, alla vita.

Davanti alla mantide esiste una scelta. Girare i tacchi e farle una pernacchia.

Che vada a farsi fottere.

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