Pupo, Nicki e le altre del mucchio

L’evento che tutti aspettavano è finalmente una realtà. Pupo ed Emanuele Filiberto tornano su Rai1! Mentre già scaldate i polpastrelli per live-twittare tutto l’odio che avete in corpo, ai maschietti consiglio la visione di un altro top trend del momento, ovvero la nuova statua di Niki Minaj al Madam Toussad. Apriti cielo. L’hanno scolpita a quattro zampe, e via con le accuse di razzismo e sessismo. Hanno sbagliato “ismo”, trattasi infatti di puro realismo.

Se fossi in Niki non me la prenderei, anzi per rilassarmi, me ne andrei a Porto Rotondo a divertirmi assieme a Silvio, che una volta sceglieva il predellino per l’ascesa politica e oggi preferisce il piano bar. Un ritorno alle origini, avendo lui iniziato come animatore sulle crociere. E poi, mia cara Niki, c’è chi sta molto molto peggio: una a caso, Tori Spelling, che a furia di botox sembra tutta una statua di cera vivente!

Chi invece dovresti prendere come esempio, mia cara amica dell’anaconda, è Barbara D’Urso, per gli amici Carmelita (come ogni buona trans cambia nome). Ha rilasciato diverse interviste in questi giorni, le due dichiarazioni shock: 1. “Voglio fare altri programmi” 2. “Mi corteggiano uomini di tutte le età“. Iperattiva e cougar (a tal scopo le raccomando il bimbo a tre palle appena nato). A volte mi domando perché gli assassini si rivolgano sempre agli obiettivi sbagliati.

Niki, invece, non ti consiglio di andare 1. a Copacabana, che ha appena perso il suo unico vantaggio competitivo su ogni spiaggia del mondo, i giovani neri; 2. in Russia, dove non ti potrai più lavare; 3. In Germania, dove si prevede un pò di sovraffollamento nei prossimi tempi.

Ho un’idea: datti all’alcol! Basta che non ti riduci come l’atleta che ha venduto la medaglia d’oro per pagare il taxi. Oppure, goditi i gattini al Momi di New York, e prepara i popcorn per il nuovo reality di Madonna.

Insomma, cara Niki, pensa che qui in Italia ci dovremo subito il ritorno di Pupo ed Emanuele Filiberto in TV. Tu a quattro zampe stai decisamente meglio di noi.

Garrone, Ciprì e Monti

Potremmo parlare di “Dittico del Sud”.

Usciti in contemporanea, i film “Reality” di Garrone e “E’ stato il figlio” di Ciprì, ci raccontano un meridione iper-realista e apocalittico. Fotografie tra il caravaggesco ed instagram, attori presi dalla prigione, o prigioneri presi dal teatro, musiche senza tempo che danno il tempo alla pellicola. E poi, il protagonista assoluto: il SUD. Umanamente, sociologicamente, antropologicamente, archetipicamente SUD.

Garrone tratta Napoli come Gabriel Garcia Marquez tratta Macondo in Cent’anni di Solitudine: una dimensione parallela dove i tratti dell’umanità si delineano e si scolpiscono nelle parole, negli sguardi, nei gesti. Tutti ci ritroviamo in essi, eppure ce ne sentiamo distanti, una distanza rassicurante, ma illusoria. Al contrario, Ciprì plasma Palermo ad immagine e somiglianza dei suoi abitanti, che antropomorfizzano il tessuto urbano, con macchine bruciate, sangue di bambini uccisi dalla mafia e spazzatura.

Il motore di entrambe le storie è comune: la miseria. Entrambi i protagonisti ne sono vittime, e ne vogliono uscire. Le scorciatoie che il destino metterà loro a disposizione sono trappole generate da un determinismo sociale di sapore prettamente verghiano. Ma qui i Malavoglia non subiscono sventure, ne sono artefici e complici. L’accento più si fa comico tanto più risulta tragico.

Questi due film ridanno lustro al cinema italiano, come ai tempi del neorealismo. Un paese che ha vissuto un ventennio di sogno berlusconiano si risveglia più povero e misero di prima. Così, a svegliarci ci pensano due “ministri tecnici” della cinematografia, Garrone e Ciprì. La loro riforma lacrime e celluloide non fa soffire meno di quella di Mario Monti.

Eppure, dovremmo esserne contenti. Riuscire ancora a soffire, dopo il coma mediatico, è segno di esser ancora capaci di vivere. E forse di rialzarsi.

Ma saranno facebook miei?

In tanti mi chiedono perche’ pubblichi ogni cosa della mia vita su Facebook. A questi curiosi rispondo per punti, come mio solito.

1) Tecnologia. Da quando ho il blackberry (e relativa application di Facebook) posso velocemente by-passare il pc.

2) Esperimento. Se non pubblicassi tanto, come farei a sapere chi tra i miei amici non abbia un cazzo da fare e chi ha invece meglio da fare che guardarsi i profili degli altri.

3) Reality-syndrome. Non nascondo mai la mia volonta’ di partecipare a un reality. Chiunque mi conosca sa benissimo che il mio livello di esibizionismo si spingerebbe ben oltre il livello di decenza se non fosse che voglio ancora avere degli amici.

4) Trasparenza. Odio il concetto di privacy: sono totalmente maoista in questo. Chi non si mostra e’ perche’ ha qualcosa da nascondere. Per me, anche i redditi dovrebbero essere pubblici ed accessibili a chiunque.

5) Altruismo. Sono talmente conscio del grigiore della vita di tanti, che sento di avere una missione: farli distrarre per 2 minuti al giorno con la mia vita fottutamente surreale.

Detto cio’, miei cari detrattori, vi saluto calorosamente e, ripeto, vi auguro sempre e comuque di avere di meglio da fare che giudicare la mia vita (ed il modo di esporla al pubblico ludibrio).

Il vecchio e la metro

Tanto perchè ad Hemingway non avevo mai rotto le palle, ho deciso di deturpare anche il titolo del suo famoso libro. Però ci stava tutto come titolo di questo post.

Oggi ero in metro – come mi capita spesso durante il week end – e il mio viaggio si è incrociato con l’uscita dai licei. Pletore di ormoni ricoperti di carne si sono riversati nei vagoni dove io stavo tranquillamente leggendo “Holidays on ice” di David Sedaris (seguirà recensione). Ero intenzionato ad ignorarli al 100%, ed infatti, faccio per indossare le cuffie del mio ipod quando scopro che sono fatalmente rotte. Caput, game over, distrutte. Controllo il display della metro: mancano ancora SEI FERMATE – sei interminabili fermate in cui mi sarei sorbito tutti quei discorsi alla Federico Moccia che detesto quanto un pugno nei coglioni.

Il fato ha voluto che accanto a me stesse seduta una ragazzina tutta intenta a sistemarsi i capelli. Lo faceva in una maniera così stizzosa che temevo seriamente sarebbe scesa calva dalla metro. Alla fermata successiva, entra un ragazzotto che le sorride, evidentemente un suo amico. Dopo aver parlato dello STRESS di aver ricominciato la scuola (e già mi giravano i coglioni: STRESS? STRESS?!?!?), ad un certo punto lei afferma solennemente: “Quando farò 24 anni, mi sentirò una vecchia” – e lui: “Io a 25”.

Nella mia testa ripeto con loro: “Eh si, a 25 anni uno è vecchio”. Poi torno alla realtà: “Cazzo, io ne ho 26!”. Volevo prendere quella ragazzina-non-ancora-calva e sbatterla contro i denti del ragazzotto, in modo da rendere lui sdentato e lei sfigurata; ma non l’ho fatto. Purtroppo, non era colpa di quei brufoli deambulanti se la pensavo esattamente come loro. E’ da quando sono piccolo che ho stabilito la soglia del quarto di secolo come il limite massimo di scadenza. Ed ora che l’ho appena superato, vorrei spostarlo al mezzo secolo. Vado avanti a passi del giubileo – di 25 in 25.

Ma poi ho pensato che erano sfortunati: per loro il sesso è ancora un’ossessione, i brufoli sono all’ordine del giorno, ogni giorno devono lottare con i compagni di classe, hanno dei professori rompicazzo e delle interrogazioni paurose, senza contare la costante sensazione di non sapere chi sei e cosa farai nella vita.

E poi mi venne in mente un pensiero che mi sollevò: minchia, ma anche io sono ancora ossessionato dal sesso, c’ho brufoli fino alla gola, devo discutere con i colleghi,  e fare delle riunioni di lavoro spaventose, senza contare la costante sensazione di non sapere chi sono o cosa farò nella vita.

Che culo: ho ancora 18 anni!

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