Middlesex – il libro. Recensione

Middlesex” di J.Eugenides non e’ un libro, ma un rito di passaggio con una copertina. Ti rapisce dalla prima pagina, e non ti lascia respirare fino al termine. Ed e’ a quel punto che ti rendi conto di essere cambiato insieme al protagonista. Irreversibilmente.

Il protagonista, appunto. Chi e’? E’ Calliope Stephanides? La genetica ed il DNA? Il caso? La societa’? Nessuno, e tutti questi lo sono allo stesso tempo. Come un’orchestra, ed una melodia che emerge lentamente dal caos primordiale degli spartiti ti avvolge.

E quando pensi di comprendere la storia, si attorciglia su stessa come un baco da seta che va a fuoco. E allora, ricominci daccapo. Per rimetterti in gioco, per tirare i dadi nuovamente. O per lasciarlo fare agli Dei greci.

Non e’ un libro, dicevamo. Ma fortunatamente Eugenides l’ha intrappolato in ruvide pagine di cellulosa e ce l’ha regalato. Qualsiasi cosa sia, non possiamo che ringraziarlo.

Decisamente nella mia top three di tutti i tempi.

Draquila – Dittatura in corso (la recensione)

Se già Videocracy mi aveva angosciato profondamente, questo documentario di Sabina Guzzanti mi ha fatto incazzare come non mai. Scoprire del regime dittatoriale militare instaurato a L’Aquila dal Governo Berlusconi attraverso il braccio armato della Protezione Civile di Guido Bertolaso mi provoca un attacco collerico non indifferente.

Nessun giornale ne ha mai parlato (triste che sia una comica a farne le veci).

Nei campi, non si può nè entrare nè uscire senza incappare in un posto di blocco che fa domande, non si possono indire assemblee spontanee non autorizzate, non si possono bere cocacola e caffè (“per non eccitare i terremotati”), non si possono affiggere cartelloni di protesta. Mentre chi ha avuto le case si deve impegnare a riconsegnare TUTTO ciò che gli è stato fornito se dovesse andar via (DOVE???).

Gli aquilani sono PRIGIONIERI dello Stato Italiano. La Protezione Civile è la forza Carceraria.

Ma intanto, quello che conta è costruire, costruire, costruire nuove case, new towns, new centri commerciali. E la città vecchia è lasciata al declino più totale. Chi se ne frega, ci penserà qualche Governo di sinistra a ricostruire per i prossimi 20 anni: intanto, io m’incasso i consensi ora – chi vivrà, vedrà.

Da domani sarà difficile negarlo: l’Aquila è il laboratorio del regime che sarà (o che già c’è).

Grazie Sabrina.

Simon Koniansky – la recensione

E poi ci chiedono perchè noi ebrei siamo ironici.

Questa pellicola belga sulla sgangherata famiglia di Simon Koniansky, 40enne senza nè parte nè arte, è un piccola ‘Jewpedia’ di gag e satira tutta yiddish, quel misto di ebraismo e cultura mittelleuropea che pervade anche la letteratura americana moderna tramite i grandi Roth, Auslander&co.

L’originalità del film, in ogni caso, sta nella miscellanea: sottolineare alcune scene con musiche circensi, mescolare dialoghi faceti alle immagini dei lager polacchi ed infine, l’ossessione sessuale temperata dalla tenerezza e la goffaggine del protagonista. Tutto ciò rende questo film un piccolo gioiello della cultura audiovisiva europea.

Lasciatemi aggiungere una nota personale: che goduria vedere il film in compagnia delle ottagenuarie ed ebreissime Sara, Rachele e Marta che ironizzavano su ogni scena con la erre moscia (” quell’attoVe è uguale al mio Vagazzo!!”)! Rassicurante e tenero sapere che, mentre i turisti fuori si accalcavano attorno a dei monumenti morti, io potevo godermi quelli viventi accanto a me.

Sono momenti e film come questi che mi fanno ringraziare di vivere in questo infernale pezzo di paradiso che è Roma.

“Il Mago della Truffa” e “Mine Vaganti” – due film, un solo stereotipo

Se non fosse una storia vera diresti che e’ tutta una boiata. Eppure, “Il Mago della truffa” con Jim Carey e’ tratto da un caso di cronaca degli anni Novanta. Un uomo socialmente ineccepibile (etero, moglie biondissima, lavoro rispettabile e tanti canti in Chiesa)  decide di dare una svolta alla sua vita dopo un incidente stradale: ammette la sua omosessualita’, inizia a truffare per avere sempre più soldi con i quali viziare i propri compagni, e finisce in carcere innunerevoli volte. Magistrali le interpretazioni di Carey e Ewan McGregor, e una fotografia davvero spettacolare.

Sempre sul tema omo, anche il film “Mine Vaganti” di Ozptek. Storia del coming out di due fratelli che distrugge l’armonia di una famiglia tradizionale pugliese. Una commedia decisamente brillante quando e’ commedia; ma un polpettone quantomai deprimente, quando sembra darci lezioni di vita.

In ogni caso, entrambi i film hanno in comune un tratto: sono una raccolta di stereotipi gay triti e stratriti. Una puntata di Uomini&Donne contiene meno banalità. Nel film con Carey, i temi sono la ricchezza, la moda, le passeggiate con il chihuahua, i vestiti attillati, l’ossessione per il sesso; in quello di Ozpetek, il sud arretrato ed i gay effeminati che ballano musiche di dive gay.

Se è vero che la discriminazione nasce prima di tutto dalla disinformazione, questi due film non fanno che alimentare quest’ultima accrescendo la prima. A chi volesse davvero conoscere gli omosessuali do un consiglio spassionato: evitate il cinema e guardatevi attorno: ne conoscete già molti a vostra insaputa.

Abituatevi a vedere i piccoli gay o neri, o rumeni, o zingari che si annidano in tutti noi. E non credete a chi vuole vendervi un mondo in bianco e nero: perchè è nelle sfumature il senso della vita.

Invictus – la recensione

Alla fine di ogni film di Clint Eastwood ti chiedi come il cinema ne abbia fatto a meno fino a quel momento. Ogni suo film sembra necessario, ogni sua scena indelebile eppure gia’ scritta nella memoria collettiva.

Mai prima d’ora il regista si era spinto in pellicole epiche ed epocali. Era venuta l’ora: dopo Gran Torino che e’ la storia dell’integrazione tra un uomo ed il suo presente, ecco Invictus la storia di riconciliazione di una nazione con il proprio futuro.

Ma soprattutto, e’ la storia politica della Politica. “Mi avete eletto vostro leader, e allora lasciatevi guidare”. Ecco cosa dice Mandela-Freeman quando impone decisioni impopolari ad una nazione nera, assetata di vendetta verso la minoranza bianca. E’ una lezione di leadership, opposta a quella di mera e povera followship che lo spettacolo politico odierno ci offre con tetra regolarita’.

Ma e’ soprattutto l’ultima puntata della resa dei conti di Eastwood con i fantasmi della sua societa’. Una resa dei conti come sempre netta, pulita, priva di giudizio.

Ottimo lavoro, l’ennesimo da vedere e gustare.

Il concerto – recensione

Dopo 30 minuti la fine del film, avevo ancora il fiato sospeso. Per calmarmi, ho dovuto spararmi 1 ora di Tchaikovsky nell’iPod.

Il concerto” di Radu Mihaileanu, mai visto qualcosa di cosi’ sublime: un concentrato di tenerezza, arte, musica, passione, ironia e leggiadria. Degli attori perfettamente incastonati in una corona di diamanti in sceneggiatura. Una trama costruita in crescendo in cui esiste una commistione di generi incredibile. Sembra una commedia malinconica, di quelle a cui gli est-europei ci hanno abituato, ma all’improvviso nel lunghissimo finale (20 minuti), tutta la drammaticità si svela e si scioglie agli occhi dello spettatore che è combattutto tra l’estasi e la crisi di Stendhal.

Non sto esagerando:vorrei poter essere più chiaro e verbalizzare la miriade di sensazioni, ma sono davvero troppo emozionato e spiazzato. Un solo avvertimento: non andate a vederlo se soffrite di cuore o se non ne avete uno.

La prima cosa bella: averlo visto

Italia batte America: 5 a 0.

Non ho altre parole per descrivere questo magnifico film di Virzì, uscito nelle sale proprio lo stesso week end del colossal americano AVATAR.

Devo ammettere che ero uscito per vederlo, ma poi ho preferito una commedia italiana. Cinema gremito, la gente rideva, piangeva e si stringeva attorno alla protagonista femminile, Anna – interpretata magistralmente da Micaela Ramazzotti (giovane) e da Stefania Sandrelli (anziana). Io ero in visibilio.

Virzì, dopo la storia tristemente moderna dei call center in “Tutta la vita davanti“, preferisce catapultarci in un passato italiano irrequieto, pazzo, senza freni ma leggiadro e divertente come la protagonista, vittima dei pregiudizi della gente di Livorno. Una donna scandalosa, con una vita sentimentale tumultuosa e con un amore smisurato per la vita. Virzì è innamorato della sua protagonista, ce ne accorgiamo ad ogni inquadratura, ad ogni battuta, ad ogni canzone che le fa intonare. Non è un caso che abbia scelto proprio sua moglie per interpretarla – e ce ne siamo perdutamente innamorati anche noi.

L’Italia batte l’America, dicevamo – ma preferisco: l’Italia batte l’Italia.

Non voglio scadere nella retorica passatista del “c’eravamo tanto amati”, ma piuttosto penso al cinema pieno zeppo di persone entusiaste per un film che parla di famiglie allargate, di cinema, di amore, di maternità, di fratellanza come da tempo non se ne vedevano. L’Italia, e ce lo dimostrano anche queste pellicole, è molto meglio di quanto la politica (e recenti episodi di cronaca) non ci vogliano far credere.

Anna è la metafora dell’Italia? No, è solo una portatrice sana di speranza ed vitalità. I due nemici giurati della politica dell’odio e della paura che infesta il nostro paese. Le cose cambieranno…ed intanto, ce ne andiamo a dormire con le note de “La prima cosa bella” di Nicola di Bari – cantata dall’italo-tunisina Malika Ayane. Chi ha orecchio, INTENDA.

Notte ragazzi.

Ammaniti e Greer: compagni di fine anno

Cosa regalarmi a Natale è molto semplice: con un libro si va sempre sul sicuro. Il problema è QUALE libro: si potrebbe sbagliare in maniera decisamente grossolana. Ma, in queste DISASTROSE vacanze napoletane, sono stati due libri regalati ad avermi salvato la vita: “Che la festa cominici” di Ammaniti e “La storia di un matrimonio” di Andrew Sean Greer. Entrambi divorati in 7 giorni di passione letteraria come non mi succedeva da tantissimo tempo.

Il libro di Ammaniti – il primo che abbia mai letto dell’autore – ci presenta un’Italia presente-futura in cui un magnate cafone e trash organizza la festa del secolo all’interno di Villa Ada a Roma. Un circo di umanità e disperazione si alterna alla vista del lettore che segue con passione crescente le vicende dello scrittore star Ciba e della setta satanica le Belve di Abbandon. Due mondi così diversi – il primo inserito a pieno nel mondo ed il secondo che cerca di abbatterlo – eppure identici nella furia distruttiva ed egoistica. Un ritratto di Iper-Italia, decisamente credibile e spaventoso, proprio perchè non lontanissimo dalla realtà. Il tutto puntellato da picchi di ironia e dialoghi alla Tarantino niente male.

Altro circo, altra umanità per il libro di Greer. Storia di un matrimonio americano degli anni Cinquanta, storia di una donna che scopre lo squarcio dietro il velo del suo matrimonio perfetto: l’omosessualità di suo marito. Sullo sfondo, le segregazioni razziali, i cambiamenti sociali, il senatore McCharty e la San Francisco pre-rivoluzione sessuale. Si è totalmente immersi nel mondo di Pearlie Cook, la protagonista, con una naturalezza quasi angosciante. Tutti potremmo essere Pearlie: perchè “chi può dire di conoscere davvero chi si ama?”. L’interrogativo si protrae per tutto il libro, fino al suo termine decisamente poco scontato.

Due libri e due autori diametralmente opposti, eppure la consapevolezza estrema della realtà in entrambi gli scritti. Una realtà che va avanti, nonostante i protagonisti storici canonici. Una storia fatta dai piccoli eventi, dai piccoli drammi e  non dai grandi eventi che ne sono la punta dell’iceberg. In fondo, sono due libri di speranza: una società che sa guardarsi così a fondo, è una società che prima o poi troverà la via d’uscita dai suoi incubi.

Almeno si spera.

La dura verità – la recensione del film

La dura verità è che in Italia non abbiamo le palle per fare una commedia così politically scorrect, e così romantica allo stesso tempo come “La dura verità“. Siamo morti artisticamente, la commedia è considerata un genere minore: noi siamo il fottuto paese della prosopopea, della Scala, dei drammi interiori e delle cazzate introspettive.

La dura verità è che le uniche commedie le lasciamo fare alla nostra politica, e questo ha un rischio: noi diventiamo le comparse di un film trash, e non i suoi spettatori, subiamo il copione e non abbiamo voce in capitolo con gli sceneggiatori. Semplici comparse.

La dura verità è che l’Italia non ha la forza di creare prodotti (si, miei cari radical-chic, di PRO-DO-TTO trattasi) cinematografici degni di qualche nota. Regnano la totale sciattezza di sagacia e la mancanza di mordacia condita con una membrana grigiastra topo. Così descriverei la cinematografia italiana.

Andate a vedere LA DURA VERITA’, una commedia per comuni mortali, per gente che vuole ridere, con malizia e anche con tenerezza. Ideale se volete dimenticarvi per 90 minuti di vivere in un paese totalmente TRISTE.

Julie&Julia – la recensione

La domenica passata rinunciai a vedere un film, solo perchè dovevo fare un’uscita galante.

MAI PIU’ RINUNCERO’ ALLA MIA PASSIONE PER UN PEZZO DI CARNE.

Spinto da questa grande illuminazione, sono andato a vedere un film che di carne parlava davvero. L’ultima commedia di Nora Ephron tratta interamente della cuoca americana Julia Child e di Julie, una sua fan che ha avuto successo dedicandole un blog.

Bisogna dirlo: la pellicola è soprattuto dedicata alla passione smisurata per la vita e la cucina.

Due aspetti che s’intrecciano, esattamente come le storie delle due protagoniste. Che vivono vite parallele in tempi diversi (Julia negli anni 60, Julie nel 2002), ma con un’intensità ed una tensione identica. E’ Julia ad essere tremendamente moderna o è Julie a vivere una fiaba vintage? La verità non c’interessa, perchè gl’ingredienti per il successo di questo film ci sono tutti: un montaggio delicato come una creme brulèe, una Meryl Streep spumeggiante come la panna montata e una Amy Adams dolcemente pazza come la mayonese.

Sono 90 minuti durante i quali vi s’ingrasserà il cuore dalle risate e dalla tenerezza. E per una volta, alla merda il colesterolo.

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