Soul Kitchen – cibo per l’anima

Fatih Akin ci ha gia’ abituato a commedie rocambolesche con la “Sposa turca”, ma con Soul Kitchen ha fatto un deciso passo avanti.

Il regista ammica a tutta la letteratura cinematografica di prim’ordine: da Almodovar di “Volver” in parti della trama, a Tarantino nella montaggio e nell’uso distonico della musica e del suo legame con la scena, fino a Bunuel in alcune sue tinteggiate surreali. Ma ci aggiunge del suo in maniera inequivocabile. Prima di tutto, nel disegnare un Amburgo del tutto aliena all’immaginario collettivo: la citta’ tedesca diventa sregolata, giovane, elettronica, divertente, frizzante; in una sola parola, diventa Berlino.

La fotografia e’ studiata in ogni particolare, perche’ il “grigiore tedesco” non venga mai fuori. E quando succede e’ strettamente funzionale al disegnare la psicologia del personaggio in quel momento. Paradossalmente, gli spazi aperti appaiono sempre nei momenti tristi, mentre quelli chiusi, claustrofobici in quelli allegri. Quasi a dimostrare che solo nella vicinanza tra esseri umani in luoghi limitati si crea la vera umanita’.

I personaggi, non a caso, sono iper-umani, ovvero, fin troppo umani. I protagonisti, due immigrati greci, sono carnali, passionali, disordinati, decisamente sconclusionati, ma sinceri, autentici. I personaggi collaterali fanno da contraltare: freddi, calcolatori, razionali. Il contrasto e’ inevitabile.

Ma il film racconta a noi italiani un’altra cosa: la vitalita’ economica, umana e sociale delle comunita’ di immigrati. Ci racconta della difficile ma indispensabile mistura di razze e tradizioni che ogni vecchia civilta’ occidentale deve affrontare se vuole vincere nel mondo attuale. Ci racconta che se rimaniamo chiusi nel nostro feudo europeo, siamo gia’ morti.

Alla fine del film, avevo una fame di vita ed una voglia di fare l’amore, come non mai. Non mi chiedete perche’, ma e’ la magia di chi sa raccontare la vita in metafora come Akin.

Ottimo lavoro!

I love shopping – recensione

C’erano tutti i presupposti perchè questo film mi piacesse: MODA, NEW YORK, CARTE DI CREDITO, CONSUMISMO, COLONNA SONORA DI MACY GRAY. Ho costretto il mio amore a venire con me, ieri mattina alle 8.30 avevo già acquistato i biglietti su internet e ho a usato l’arma del ricatto: “Non vorrai mica farmi buttare i soldi?”. Mi sono ridotto al più bieco dei comportamenti pur di vedere questa pellicola. Per cui, capirete bene le mie aspettative a che livelli stessero.

Premesso ciò, la trama del film la potete leggere dovunque nel web, io vi propino la mia critica acidil-salicinica.

Trama: assolutamente sciapa, inutile, insensata, banale e terribilmente noiosa.

Dialoghi: li definirei piuttosto monosillabi sparsi a caso

Vestiti (l’unico motivo per cui uno va a vederlo): pacchiani, grotteschi, da provincialotti del Midwest.

Colonna sonora: si sentiva a malapena – se solo avessero alzato un pò il volume!

Attori: decisamente divertente l’attrice, Isla Fischer, l’unica a far ridere con le sue gag alla Bridget Jones; il resto del cast totalmente insulso.

Insomma, alla fine dei 90 minuti di pellicola, rileggi la locandina e dici: You love shopping? Ma ‘sti gran c….!

Su “Il curioso caso di Benjamin Button”

Non vi dirò la fine del film – perchè voglio che TUTTI lo vadano a vedere. Ma vi dirò come sono finito io dopo i 180 minuti di pellicola:  trattenevo a difficoltà i singhiozzi di pianto (e ci sono riuscito solo per evitare una figura di merda colossale nel bel mezzo di una sala gremita di 500 persone).

Non vi dirò neanche che è il più bel film MAI prodotto, e neanche che ha superato di gran lunga “Roma Città Aperta” nella classifica dei film che mi hanno cambiato la vita. E non mi azzerderò manco a dirvi che è un film sulla morte, per la morte, con la morte che dovrebbero vedere tutti i fanatici della vita a tutti i costi e a tutti i tubi.

E passerete sopra il mio cadavere prima che vi dica che – sì, è vero che l’impianto narrativo somiglia a Forrest Gump (un diverso a cui capitano una serie di avventure straordinarie) – ma che va decisamente oltre in quanto a poesia, verità, universalità e generosità di significati.

Manco vi racconterò della bravura di Brad Pitt, dell’eleganza di Cate Blanchette e della maestria del regista Fincher – che da Fight Club in poi non ha mai toppato.

E no, non vi dirò neanche che, se il film non vincesse l’Oscar come miglior film, tanto varebbe eliminare gli Accademy Awards. Perchè sarei esagerato, non credete?

Insomma, andatelo a vedere: io non vi ho detto niente.

“Il dubbio” – recensione

Nonostante l’ira funesta di chi non voleva accompagnarmi (“due palle, il solito film di preti pefofili”), siamo andati a vedere “Il dubbio” – con Meryl Streep.  C’ho messo tutta la buona volontà per farmelo piacere. Ma non spenderò tante parole e vi dico:

“Il dubbio” mi ha dato una certezza: è un film che fa cagare.

L’eleganza del riccio (o la tracotanza del ricco)

Una persona molto cara mi ha regalato il best seller di Muriel Barbery, L’eleganza del riccio. E non sapete quanto mi dispiace doverlo stroncare, però quando ci vuole, ci vuole.

Ufficialmente, è la storia di una portinaia che fa finta di essere scema quando invece è una coltissima apprezzatrice dell’arte e di una bambina suicida, troppo intelligente per la sua età – anche lei finge di essere totalmente scema. Entrambe decidono l’anonimato, per non essere disturbate, per rimanere invisibili. Sempre ufficialmente, dovrei dirvi che la portinaia rappresenta EROS, mentre la ragazzina THANATOS. Questo gioco dei ruoli si ribalta drammaticamente solo nel finale (che è l’unica cosa che si salva dell’intero romanzo).

Finita la parte ufficiale, posso darvi la mia analisi reale: il libro è un trastullo pseudointellettuale di una ricca professoressa di filosofia in un’università di provincia francese. L’impianto della trama potrebbe essere credibile, ma è la rappresentazione dei personaggi ad irritare non poco. Digressioni filosofiche, artistiche, morali, e concettuale a iosa; una scrittura pesante quanto un Big Mac con doppia dose di cipolle; un’ironia presente come la scarlattina: a macchie; e soprattutto l’assenza totale di una REALE definizione della psicologia dei personaggi. E’ come se l’autrice parlasse in prima persona, volendoci far credere che sia una portinaia a scrivere solo perchè scrive “Sono una portinaia” – però poi parla come Seneca.

Il voto è pessimo, e si può tranquillamente saltare dalle prime 20 pagine alle ultime 20 senza perdere neanche una virgola di senso. Save your time, guys. Leggete altro.

Recensioni sul bagno – CHANGELING + L’OSPITE INATTESO

Sono al bagno, dove sparare merdate mi esce più naturale. Perciò, vi propongo due film che ho visto di recente: “CHANGELING” di Clint Eastwood e “L’OSPITE INATTESO” di Thomas McCharty.

CHANGELING (5 carta-igienica)

E’ la storia vera di un ritrovamento di un bambino smarrito nella Los Angeles degli anni ’30. La trama scaturisce dal fatto che il bambino riportato non è quello giusto – e da una madre che lotterà fino alla fine finchè la verità venga a galla. Espresso in questo stitico-way, il film sembra una ciofeca, ma è davvero meritevole. Gli attori sono bravissimi (la Jolie è eccelsa),  la fotografia, la regia ma soprattutto la sceneggiatura sono da Oscar al 100%. Le tematiche toccate (l’abuso di potere, il legame madre-figlio, la violenza sui minori, la discriminazione femminile) sono attualissime. Unico punto dolente: le labbra silicon-valley della Jolie. Se le avessero ridotte digitalmente, l’insieme sarebbe stato ancora più gradevole e realistico. Ad ogni inquadratura, giusto un secondo prima di affliggerti per la sorte della protagonista, pensavi a quanti fusi orari passassero tra un labbro e l’altro. Un film che si becca 5 carta igienica, in ogni caso.

L’OSPITE INATTESO (4 carta-igienica)

Non amo i film sugli stranieri e sull’incontro tra culture che arriscono i protagonisti. Se devo vedere cose trite e stratrite vedo un porno: la sceneggiatura mi stimola di più. Per cui, non ero molto felice di andare a vedere questo film. La trama è semplice: un grigio professore universitario si trova in casa una coppia di clandestini che gli apriranno la vita al mondo della musica orientale ed africana, ma soprattutto ai sentimenti di amicizia ed amore. Due palle democristiane infinite. Eppure no, miei cari trafficanti: la sceneggiatura, ma soprattutto gli attori sono la chiave della buona riuscita del film – che vuole denunciare le ingiustizie del sistema giudiziario statunitense. V’invito a vederlo, si merita 4 carta igieniche.

Senza più sinistra + Decameron

Oggi mi sento molto (in)cul-turale e mi va di parlarvi di un libro e di uno spettacolo che mi hanno colpito molto. Il primo s’intitola “Senza più sinistra” di Mannheimer , il secondo è lo spettacolo teatrale “Decameron” di Luttazzi. Iniziamo dal tedesco.

Mannheimer non ha mai destato in me grande simpatia. Sarà per il cognome da signorina Rottenmheir, o anche per il nome uguale a quello di Brunetta. Poi non apprezzo particolarmente i sondaggisti, perché stanno ai politici come Raffaele Morelli sta a Costanzo. Il sondaggio è il braccio armato (scientificamente) della politica. “Berlusconi ha il 70% dei consensi” e poi scopri che fanno le interviste solo al telefono, escludendo il 30% degl’italiani che non sono presenti nell’elenco telefonico. Penso a mia nonna Carmela: lei non ha telefono, eppure ogni volta che vede Berlusconi in TV inizia ad imprecare stile pescivendola. Fa lo stesso quando vede Brooke di Beautiful – usando peraltro gli stessi improperi che dirige verso Berlusconi. Ma questa è un’altra storia.

Fatta questa premessa, il libro che ho letto (“Senza più sinistra” – edizione Il Sole 24 Ore) ad opera proprio di Manheimer è fatto davvero bene, perché per la maggior parte si basa sull’analisi dei flussi elettorali sulla base di ogni colleggio elettorale. Certo, il sondaggista perde il pelo ma non l’exit poll, che comunque sono presenti nel testo, ma in maniera marginale.

Ci sono diversi spunti interessanti – elenco quelli che più trovo illuminanti:

  1. Veltroni è stato SCONFITTO ampiamente, malgrado lui dica che ci sia stata comunque una rimonta;
  2. Il PD non ha sfondato al centro (nonostante il programma allungato all’acqua santa), ed ha solo rubato voti alla sinistra estrema, giocando sul voto utile;
  3. Il PDL vince grazie alla LEGA, che si becca buona parte di EX UDC, EX AN ed anche EX comunisti;
  4. I voti della sinistra estrema sono andati all’astensionismo, al PDL e alla Lega

Parlava molto di politica (e sesso) lo spettacolo di Luttazzi. Esilaranti alcuni monologhi (di cui non voglio scrivere per non rovinare la sorpresa), ma vi accenno i punti salienti.

  1. Il consenso attuale di Berlusconi lo paragona alla terza fase del sesso anale: quando ormai il buco è aperto e anche se ti fa un male cane ne vuoi di più. L’Italia è l’inculata.
  2. Berlusconi vince perché ha creato un personaggio unico, umano, epico , mentre Veltroni è noioso, snob e troppo uomo qualunque;
  3. L’ultima parte dello spettacolo snocciola a raffica una serie di notizie brevi (inventate) esilaranti; un esempio: VATICANO. Finite le celebrazioni per il funerale di Woytila. OGGI.

Insomma, si ride tanto e di qualità, la sua volgarità è solo un espediente per attirare l’attenzione del pubblico; è un grande. Vi consiglio vivamente di vedere lo spettacolo (anche in DVD).

Felicità ® – il libro

Will Ferguson è uno scrittore emergente canadese; o meglio, prima scriveva libri di viaggio (due palle), e questo è il suo primo romanzo.

La trama è semplice ma sfiziosa: un redattore della casa editrice Panderic scopre un libro di auto-aiuto, che VERAMENTE rende felice chi lo legge. Il libro inizia a diffondersi come un virus in tutto il paese, crolla l’intera economia capitalistica – tutta fondata sulle insoddisfazioni continue dei desideri creati dalla pubblicità (se comprate magazine come PSICHOLOGIES, noterete la più alta concentrazione di pubblicità di creme anti-rughe, ndr).

Il redattore si trova ad essere ricercato da killer assoldati dall’industria del tabacco, dell’alcol, della droga e dei centri di disintossicazione. Insomma, come direbbe un mio caro amico, questa trama fa molto SARAMAGO.

Lo stile è semplice, asciutto, ironico e svelto – forse un impianto un po’ troppo surreale per una scrittura così “classica”. Però il contrasto non è sgradevole.

Ad un certo punto, Ferguson cita un autore: “Nella felicità sono tutti uguali, ma chi soffre lo fa in un modo tutto personale”. Da questo prende spunto il senso del racconto: i nostri problemi (esistenziali o meno) sono il sale ed il nutrimento della nostra vita – anelare a diventare dei cloni rincoglioniti e sereni equivale a perdere la propria umanità.

Ferguson mi trova d’accordo – io sono innamorato dei miei problemi; questo è sano considerando che il mondo non sarà MAI perfetto e quindi tanto vale abituarsi. Anche se – lo ammetto – divorziare ogni tanto dalle proprie paranoie non sarebbe male.

Un libro da leggere.

Vicky Cristina Barcelona – e qualcun altro no?

Ho appena finito di vedere l’ultimo film di Woody Allen. Erano settimane che lo lasciavo in stand-by, perchè non mi convinceva: ED AVEVO RAGIONE. Premetto che:

1. Ho vissuto tanto a Barcellona

2. Non apprezzo particolarmente la virata di Allen verso qualsiasi genere che non sia film-di-un-ebreo-con-evidenti-complessi-sessuali-che-sfoga-il-tutto-con-l’ironia.

Fatte queste doverose premesse, voglio esprimere senza mezzi termini il mio giudizio: è un film nato dalla mente pruriginosa-puritana di un americano che vede la Spagna attraverso i clichè più consumati (passione, arte, pazzia, calore – insomma, una canzone delle Lollipop ad Ibiza). L’unico spettatore che può apprezzare davvero questo film sono a) lesbiche abituatissime a sublimazioni pseudo-artistiche della voglia di fallo; b) intellettualoidi che leggono MicroMega e ne capiscono un ceppa di niente; c) ubbriachi e/o spinellomani

Non voglio di certo disincentivare la visione di questa pellicola – anche perchè non ne ho il potere. Però se l’avessi, lo farei solo censurare. Unica nota positiva è la sempre magnifica Penelope Cruz: lei renderebbe stupenda anche la merda con le pallettes.

Per il resto, risparmiatevi il tempo per fare sesso con la vostra dolce metà – umana o di plastica che sia.

Nobel a Saviano: e perchè non un Oscar?

La situazione sta diventando alquanto ridicola. “La Repubbica” ha indetto una campagna per conferire il Nobel della pace a Saviano. Evidentemente, d’ora in poi, quel quotidiano lo chiamerò “La Repubblica delle Banane“.

Perchè dargli un Nobel per la pace? Perchè ha scritto un libro che NON HA RISOLTO NULLA? O perchè ha INCASSATO i diritti cinematografici per il suo magnifico megaspot alla CAMORRA? Ma perchè non gli diamo anche un OSCAR? Tanto gli somiglia pure ad una statuetta.

Infine, e concludo l’attacco feroce (lo giuro su San Gennaro), ma che altro libro ha scritto? Questo Saviano è peggio dei Jalisse: hanno fatto una sola canzone e c’hanno campato per due anni.

Speriamo sparisca nell’oblio anche lui.

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