Ennesimo suicidio di un ragazzino a causa del bullismo inflitto dagli “amici” per via della sua omosessualità. Aveva 14 anni, e riesco a capire cosa gli sia passato per la testa. Sento la rabbia salire, mi immedesimo nei suoi panni; alla sua età, io sapevo benissimo cosa mi piacesse e cosa no, ma non lo dicevo a nessuno. Non mi fidavo di chi mi circondava, avevo già abbastanza problemi a gestire questa “cosa” da solo, e non volevo che nessuno ci ficcasse il naso. Eppure, a scuola i sospetti c’erano, io ero un “diverso” in molti sensi: non giocavo a calcio, mi circondavo di donne ma non mi vantavo di scopate alla Rocco Siffredi, studiavo molto e uscivo poco. Ovviamente, le voci iniziarono a girare, ma non presero mai una piega “bullista”, forse perché io ero un bimbo molto forte e deciso. E si sa, i bulli sono dei deboli che se la prendono con altri deboli – attaccano per non essere attaccati.
Ma all’epoca Internet era appena nato, aveva una diffusione irrisoria, non esistevano i social network. Questi ultimi hanno dato maggiore spazio a questi fenomeni, perché “spersonalizzano” il bullo, ed anche quello meno spavaldo riesce a postare offese – magari da un profilo anonimo – al debole di turno. Quindi, Facebook come cassa di risonanza delle patologie sociali di cui soffrono questi bambini, figli di genitori a loro volta malati di un misto tra machismo, ignoranza e paura. Si potrebbe dire: se sei gay e non sopporti le critiche (qualche associazione cattolica che la chiama “libertà di espressione”), non iscriverti a Facebook. Semplice no? Certo, limitare la libertà di un individuo si chiama SEQUESTRO DI PERSONA, ed è punito ai sensi dell’art. 605 del codice penale. La stessa obiezione la si faceva prima di Internet, a quelle persone con atteggiamenti effeminati: “Datti una regolata, sembra più maschio, e vedrai non ti daranno più fastidio”. Cambiano gli anni, ma le soluzioni sono sempre le stesse maldestre opzioni da stato teocratico.
Parlavo di patologia, perché l’omofobia lo è a tutti gli effetti. Una fobia è “una manifestazione psicopatologica il cui principale sintomo è l’irrefrenabile desiderio di evitare l’oggetto che incute timore”. E se le sue conseguenze non fossero drammatiche, sarebbe ironico pensarla in questo modo per gli omofobi. Loro si fregiano di essere i veri “maschi”, ma poi sono mossi nelle loro esternazioni da una semplice paura del diverso.
Come si trasmette questa patologia? Gli agenti patogeni sono quattro: famiglia, scuola, politica e amici. Tutti questi attori giocano un ruolo fondamentale nella creazione della cultura dominante; in Italia sono tutte e quattro inevitabilmente OMOFOBE. La famiglia, perché i genitori vengono da un cultura arretrata ancora legata ai “valori di una volta” (gli stessi che obbligavano le donne a rimanere con i loro uomini che le picchiavano, per non essere disonorate). La scuola, perché nei programmi non appare traccia permanente di educazione civica, immaginiamoci di educazione sessuale. La politica, perché non riesce neanche a varare una legge contro l’omofobia, figuriamoci una legge per i matrimoni gay. Gli amici vittime di tutti gli attori precedenti.
La cultura dominante, che ne è il frutto, diffonde un solo facile messaggio: UCCIDI IL DIVERSO DA TE. Purtroppo, questo concetto decreta il fallimento della cultura occidentale, perché ci fa tornare allo status di homo homini lupus. L’estremo logico di UCCIDI IL DIVERSO, infatti, è che, essendo tutti diversi gli uni dagli altri, siamo tutti autorizzati ad ammazzarci a vicenda.
L’Illuminismo spazzato via da quattro coglioni impauriti che ci rispediscono dritti al Medio Evo.
Io non mi arrendo, e lotterò sempre, perché gli omosessuali si dichiarino ai propri amici e colleghi. Solo attraverso la conoscenza diretta si combatte la paura, e l’ignoranza. Questo è lo sforzo che chiedo ai miei “colleghi” gay, ma al contempo chiedo uno sforzo incredibile da parte della società civile per uperare gli evidenti limiti che l’attanagliano. Solo così si guarisce da questa malattia che avvelena il vivere comune di ODIO anziché inondarlo di AMORE.
Riflettete, gente.
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