La morte non e’ uguale. Non diciamoci cazzate.

Non amo la soppressione della liberta’ di espressione. Ma certe volte sono tentato di invocarla. Oggi sfogliando i principali quotidiani nazionali, accanto alla strage di 90 ragazzi norvegesi, apparivano necrologi affranti dal tono quasi epico per una drogata che avra’ pubblicato qualche disco. Tutto va bene, ma siamo ormai al limite del buon senso.

Ho perso un amico in Norvegia. Un ragazzo che come me credeva nel socialismo per cambiare il mondo. Passavamo ore la sera su Skype a discutere su quanto amassimo la nostra patria, delle soluzioni che avremmo voluto mettere in piedi se fossimo stati Primo Ministro. Lui era impegnato attivamente, io di meno, molto di meno. Eppure, la sera io respiravo politica grazie a lui. E mi sembrava di toccare la Norvegia con un dito.

A poche ore dalla sua morte, assurda, agghiacciante, ingiusta, vedo apparire la notizia della morte (suicidio) di Amy Winehouse. Diritto di cronaca, mi dico, e’ giusto che ci sia anche lei tra le notizie. Poi leggo il tono degli articoli e voglio vomitare all’istante. Veniva dipinta come un’eroina, quando con l’eroina lei aveva a che fare in tutt’altro senso.

E allora ti monta la rabbia piano piano. Possibile non riescano a capire che non e’ proprio il caso di trattarla in questi toni, in queste ore? Possibile che nessun direttore si sia opposto alla beatificazione di una cerebrolesa a fronte di un giorno di LUTTO GLOBALE come questo?

Mi tacceranno di moralismo. Mi diranno che la morte non ha graduatorie: e’ sempre orrenda. Si, e’ vero. Ma esiste, deve esistere, una differenza di giudizio tra chi la morte se la cerca per motivi assolutamente inutili, e chi invece l’ha subita per motivazioni ben più nobili.

Altrimenti, un cazzo e tutt’uno. Che cavolo viviamo a fare?

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