Sono bravo con la lingua

Stupiti per un titolo così smaccatamente lolitesco? Era l’unico per descrivere una mia qualità – forse l’unica che davvero mi riconosco da sempre. La mia capacità di apprendere le lingue straniere in poco tempo. Certo, non mi sono mai cimentato con lingue con altri alfabeti ma fortunatamente quelli che le parlano sono ancora considerati inferiori negli ambienti che frequento – per cui, non ci faccio caso.

Ho iniziato da piccolissimo con l’italiano – perchè in famiglia si parlava solo napoletano ed ebraico (il primo nella routine, ed il secondo nei furiosi litigi etnici tra mia madre e sua sorella convertita al cattolicesimo più pizzicagnolesco ci sia). Il risultato: quando parlavo, non mi capiva nessuno – perchè avevo un accento misto tra un vucumprà, Netanyahu e Gigi D’Alessio. A scuola i compagni mi prendevano in giro e le maestre mi punivano severamente. Ho imparato l’italiano principalmente per mandare a fare in culo entrambi.

Siccome a 10 già sapevo tre lingue (italiano, napoletano ed ebraico – quest’ultimo lo capivo ma non lo parlavo), mi dissi: perchè non imparare l’inglese? Così iniziai a vedere sempre film in lingua originale (esistevano le cassette della DeAgostini all’epoca) con sottotitoli in italiano – un doppio sforzo per me. Ricordo che m’incazzai con l’edicolante: ma perchè non ce l’hai con i sottotitoli in napoletano? Eppure, mi arresi all’evidente debolezza della mia causa. L’inglese fu una grande avventura, mi piacque subito per la sua velocità ed il suo suono. All’inizio avevo lo stesso accento da troia di Los Angeles di Julia Roberts (avevo visto la cassetta di Pretty Woman circa 22mila volte). Oppure adorai il vocabolario:  bastavano 10 parole  ripetute in ordine diverso e potevo già comporre il discorso d’insediamento alla Casa Bianca.

Devo ringraziare l’inglese se sono andato via di casa tanto presto. Però poi sono finito a lavorare e studiare in Spagna – e così dovetti imparare sia spagnolo che catalano (vivevo a Barcellona – e lì gli esami si fanno in catalano). Del secondo m’innamorai a primo orecchio, del primo non mi sono mai innamorato. Lo spagnolo è sostanzialmente così: prendi l’italiano, decurtane la grammatica di qualsiasi regola grammaticale che la rende una lingua stupendamente complessa, aggiungi una S e arrolla la lingua in quantità industriale (come faceva Britney Spears di “Hit me one more time”, quando diceva “Loneliness”) ed il gioco è fatto.

Ed infine, l’ultimo grande amore: il francese. Ho iniziato a studiarlo due settimane fa – la trovo la lingua più complessa che abbia affrontato fino ad ora. Certo, rimango ancora perplesso per l’uso spropositato che fanno dei suoni nasali – mi stupisce l’immagine di una nazione che parla tutta come se si fosse beccata un raffreddore cronico. Oppure, se vedo un notiziario su internet, continua una vocetta interiore: “Minchia, che lingua da frocette passive”. Eppure, mi piace la sfida: è una lingua complessa come l’italiano, non mi serve ad una mazza (in francia o in congo difficilmente andrò a vivere) e mi tiene occupato il cervello.

Vediamo come va a finire. Magari mi scasso le balle, o forse no.